LA ISTITUZIONE DI EREDE IN FAVORE DI UN SOGGETTO MORTO di Annamaria FERRUCCI

❓ 𝐐𝐮𝐞𝐬𝐢𝐭𝐨

Il Notaio viene richiesto di esaminare il testamento olografo della signora Matilda con il quale la testatrice nomina eredi universali i figli dei fratelli del marito premorto, e precisamente il figlio di Tizio per la quota di un 1/3, i figli di Caio per la quota di un 1/3 in parti uguali tra di loro, i figli di Sempronio per la quota di un 1/3 in parti uguali tra di loro. E stabilisce poi, nel caso in cui alcuni degli eredi sopra nominati non possa o non voglia accettare, la sostituzione in favore dei rispettivi figli. Il figlio di Tizio ed i due figli di Caio sono viventi; mentre dei tre figli di Sempronio solo due sono viventi, essendo il terzo figlio di nome Cesare deceduto due anni prima del confezionamento del testamento.

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Gli istituiti eredi sono il figlio di Tizio, Tizietto, i figli di Caio, Caietto e Caietta, ed i figli di Sempronio, Sempronietto e Sempronietta.  Si esclude che la de cuius abbia voluto istituire erede anche il premorto Cesare, perché significherebbe assurdamente attribuire alla testatrice la volontà di istituire un soggetto già morto: pur trattandosi di un testamento olografo, ossia redatto dalla testatrice verosimilmente senza l’ausilio di alcun supporto o consiglio tecnico, tale conclusione appare francamente assurda o – se si dimostrasse per altra via che essa fosse rispondente alla volontà della testatrice – farebbe sorgere molti dubbi sulla capacità della stessa. Se, dunque, Cesare, figlio già morto di Sempronio, non è stato mai nominato erede con detto testamento, non può ritenersi operante per i suoi figli il meccanismo della sostituzione ordinaria, poi espressamente previsto dalla stessa testatrice, e ciò, anzitutto, sulla base della stessa semplice lettura del testamento. La testatrice, infatti, prevede la sostituzione a favore dei “rispettivi figli” degli “eredi o legatari sopra nominati”: ma Cesare, già morto al momento della confezione del testamento, non può essere ragionevolmente compreso tra gli “eredi nominati”, se non sulla base dell’inverosimile assunto che la testatrice abbia voluto istituire un morto, con la conseguenza che i suoi figli non possono essere considerati “sostituiti” alla stregua di quanto la stessa testatrice ha disposto. In altri termini, sono “sostituiti”, ai sensi dell’articolo 688 del Codice civile, e secondo la volontà stessa della testatrice come espressa nel testamento, i figli degli “eredi nominati” in prima battuta e che, per i più vari motivi, non possono o non vogliono accettare l’eredità: quindi, i figli di Cesare potrebbero essere considerati “sostituiti” solo sul presupposto – assurdo – che la testatrice abbia voluto consapevolmente nominare suo erede un soggetto già morto. Piuttosto, la lettura del testamento, conforme a criteri di ragionevolezza e ai principi di diritto, induce a concludere che la testatrice, nominati eredi determinati soggetti (e tra questi non certamente un morto), si sia poi preoccupata dell’ipotesi di mancata venuta all’eredità di uno dei soggetti nominati, individuando nei figli del nominato i suoi “sostituiti”: questi, per volontà della de cuius, oltre che per disciplina di legge (articolo 688 e seguenti del codice civile), sono coloro che prendono il posto del soggetto nominato in prima battuta quando questo non può o non vuole accettare l’eredità. I figli di Cesare, allora, non possono essere considerati “sostituiti”, in conformità anzitutto alle stesse espressioni usate nel testamento, perché figli di un soggetto che non è stato mai nominato erede, essendo già morto al momento della confezione del testamento. Nel caso in esame, quindi, non è tanto questione di stabilire come vada inteso il requisito della “premorienza” quale presupposto per l’operare del meccanismo della sostituzione di cui agli articoli 688 e seguenti del codice civile (ossia se essa sia da riferire solo all’istituito morto dopo la confezione del testamento od anche a quello morto prima di tale momento; sul punto, comunque, vedi anche le successive osservazioni), né se si possa parlare di nullità di una disposizione testamentaria a favore di un soggetto defunto; piuttosto, la semplice lettura del testamento in esame fa capire che Cesare non è stato mai nominato erede, né poteva esserlo perché già morto quando il testamento è stato confezionato; si è dunque di fronte ad un’ipotesi di vera e propria “inesistenza” di istituzione ereditaria. Con l’effetto che – essendo poi i “sostituiti” individuati nel testamento non nominativamente (ossia, con un’espressione del tipo: “i signori Tizio, Caio, ecc., quali figli di …”), ma per relationem , ossia semplicemente come i figli “degli eredi e legatari sopra nominati” – manca anche l’istituzione condizionata (tale essendo configurata in dottrina la sostituzione ordinaria) a favore dei figli di Cesare, perché essi sono figli di un soggetto mai nominato erede e quindi non rientrano nella categoria dei sostituiti per come individuati espressamente dalla testatrice: “i rispettivi figli” degli “eredi o legatari sopra nominati”. Volendo approfondire in punto di diritto quanto fin qui argomentato avendo riguardo al solo contenuto del testamento, a supporto delle conclusioni alle quali si è giunti si può ulteriormente osservare quanto segue. Va anzitutto osservato che, nel testamento in oggetto, non vi è alcuna chiamata all’eredità in favore di Cesare, in quanto fin dalla confezione del testamento egli non era in vita e, quindi, assolutamente – ed irrevocabilmente – incapace di succedere ed incapace di ricevere per testamento, ciò in forza del principio secondo cui è capace solo la persona esistente, vale a dire nata, se persona fisica, e fornita di soggettività e personalità se persona giuridica. Si tratta di regola generale alla quale il legislatore ha posto delle eccezioni o escludendo determinati soggetti esistenti ovvero consentendo l’attribuzione di diritti successori a soggetti o enti non ancora esistenti (nascituri, enti privi di soggettività e/o personalità giuridica), ma non già “esistiti e non più esistenti”, quali un morto. In altri termini, la capacità di succedere delle persone fisiche è disciplinata in generale, dall’art. 462, commi 1 e 3, del Codice civile, secondo i quali sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura della successione (1° comma) e, inoltre, possono ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti (3° comma). La normativa è espressione del più generale principio fissato dall’art. 1, comma 1, secondo il quale la capacità giuridica, ossia l’attitudine alla titolarità di diritti e di doveri giuridici, ovvero la capacità di essere soggetto di diritti e di obblighi, si acquista dal momento della nascita e si perde al momento della morte. Ogni soggetto, dunque, è capace di succedere, ma deve giuridicamente esistere perché, come si è detto, la capacità di succedere non è un’autonoma capacità, ma una delle manifestazioni della capacità giuridica che spetta ad ogni persona, fisica o giuridica. Dato che l’acquisto della qualità di erede o legatario presuppone la speciale capacità di succedere e, dunque, la capacità giuridica generale, deve escludersi che possano succedere – ad esempio – gli animali, i quali, allo stato, sono nel nostro ordinamento, non già soggetti dell’attività giuridica, bensì oggetto della medesima, vale a dire meri beni, anche se meritevoli di rispetto e cure (vedi le norme penali dettate nei loro riguardi: artt. 544-bis ss. e 727 cod. pen.). Ne deriva che le disposizioni testamentarie, delle quali sovente la cronaca narra, con cui il de cuius abbia destinato beni al proprio cane, al proprio gatto o ad altro animale caro, non sono idonee ad istituirli come successori: destinatari dei beni potranno essere una fondazione o un’istituzione ovvero una persona, onerato dell’obbligo di farsi carico della cura dell’animale così solo indirettamente beneficiato. Per quanto detto, dunque, non si può istituire erede un soggetto già morto; motivo per il quale è da ritenere che – nel caso in esame – la signora Matilda, nel nominare eredi “i figli di Sempronio”, non abbia potuto che riferirsi, sia per ragioni di fatto che per ragioni di diritto, ai figli di viventi di Rocco e non anche al figlio non più esistente, perché deceduto. Se ciò è, e non realizzandosi, per quanto detto, alcuna chiamata ereditaria in favore di Cesare, non può di certo operare la chiamata in sostituzione in favore dei figli di Cesare. Il meccanismo della sostituzione (ex art. 688 cod. civ.), e quello poi in subordine della rappresentazione (ex art. 467 cod. civ.) e dell’accrescimento (ex art. 674 cod. civ.), operano, come è noto, se il chiamato all’eredità non può succedere e ciò avviene in casi particolari, quali, ad esempio, la premorienza rispetto al testatore o l’indegnità o la sua rinuncia all’eredità. Solo in questi casi si verifica la nuova chiamata in favore di altro soggetto: per sostituzione testamentaria, se il defunto nel testamento ha indicato un altro soggetto al suo posto; per rappresentazione in determinati casi e per determinati soggetti ex art. 467 cod. civ.; per accrescimento tra coeredi in casi definiti ex art. 674 cod. civ. Giova spendere, poi, qualche ulteriore riflessione sul concetto di “premorienza” dell’istituito quale presupposto per l’operatività del meccanismo giuridico della sostituzione ordinaria. Il legislatore si è preoccupato di individuare un rimedio giuridico che permetta al testatore stesso di individuare chiamati ulteriori qualora il primo chiamato “non possa” accettare l’eredità. Tradizionalmente, la dottrina e la giurisprudenza hanno individuato nella premorienza del primo chiamato, rispetto al testatore, una delle ipotesi tipiche per l’operatività di tale meccanismo. Ora, è evidente (e proprio tale palmare evidenza spiega, probabilmente, l’assenza di specifici approfondimenti sul punto in dottrina ed in giurisprudenza, che verosimilmente li hanno ritenuti non necessari) che la “premorienza” alla quale si ha riguardo è quella del soggetto, chiamato all’eredità, che “vivo” al momento della confezione del testamento, premuoia poi al testatore: è una eventualità che può naturalmente darsi e per far fronte alla quale il legislatore ha individuato uno specifico rimedio. Al contrario, per la diversa ipotesi di soggetto “già morto” al momento della confezione del testamento non vi è alcuna necessità di apprestare uno specifico rimedio: l’istituzione a suo favore, fatta consapevolmente (e come tale possibile indice di un grave disturbo mentale del testatore) o inconsapevolmente (e come tale indice di un eventuale errore, il cui rilievo va poi valutato), è comunque inutiliter data o, altrimenti detto, del tutto inesistente giuridicamente e, quindi, inidonea a produrre qualunque effetto anche indiretto, quale l’operatività del meccanismo della sostituzione. In altri termini, è vero che sia il soggetto morto prima della confezione del testamento sia quello morto dopo, ma prima del testatore, sono comunque nei fatti entrambi “premorti” rispetto al testatore; tuttavia, fra le due ipotesi vi è una differenza qualitativa determinante ai fini dell’applicazione della relativa disciplina giuridica, data dalla consapevolezza oggettiva del testatore. La sostituzione, allora, è un rimedio per una “situazione possibile”, destinata a potersi verificare dopo la confezione del testamento, come tale futura ed incerta, quale – tra le altre – la premorienza dell’istituito (già vivo quando è redatto il testamento) al testatore; non certo, invece, per una “situazione che è definitivamente ed irrevocabilmente certa” fin dalla confezione del testamento, quale quella dell’istituito già morto. La premorienza, in conclusione, non può che riferirsi alla premorienza del “successibile” rispetto al de cuius, cioè al soggetto che astrattamente è capace di succedere. E tali non sono, per quanto sopra esposto il pesce, gli animali, i figli nascituri dei figli nascituri di altra persona, i defunti. È vero, quindi, che esiste un principio di conservazione della volontà testamentaria, ma è altresì vero che la volontà testamentaria deve essere adeguata alle inderogabili norme di legge. In conclusione, la lettura del testamento della signora Matilda, effettuata alla luce dei principi di diritto innanzi accennati e di normali criteri di ragionevolezza (che inducono ad escludere la possibilità di ritenere che la testatrice abbia voluto consapevolmente istituire erede un morto), porta a ritenere che non vi sia mai stata una chiamata testamentaria in favore di Cesare, perché già morto e, quindi, inesistente e non più in vita quando la testatrice scriveva il testamento, e come tale sia di fatto sia di diritto non annoverabile tra i chiamati all’eredità o – utilizzando l’espressione della testatrice – tra gli “eredi o legatari sopra nominati”. Per l’effetto, non può considerarsi operante per i di lui figli il meccanismo della sostituzione ordinaria, sia per ragioni giuridiche sia – prima ancora – per ragioni di fatto, connesse al modo stesso in cui la testatrice ha individuato i “sostituiti” come “i figli degli eredi nominati” (e tali esse non sono, perché figli di un soggetto mai nominato erede).

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