DIARIO DI BORDO di Giuseppe PAVICH

Nel febbraio del 1984, mi trovavo imbarcato sull’Incrociatore Caio Duilio (che era ai lavori a Taranto), con il grado di Sottotenente di Vascello del Corpo di Commissariato: non avevo ancora 27 anni ed ero al mio primo incarico, essendo entrato in Marina circa un anno e mezzo prima. La nave si stava preparando per la campagna addestrativa estiva, che ci avrebbe portato a Los Angeles per le Olimpiadi. Fu allora che ricevetti l’ordine di trasferimento a bordo del Corsaro II: di questa unità conoscevo appena l’esistenza; quanto bastava per rimanere sorpreso dal fatto che la scelta fosse caduta su di me, visto che si trattava di uno yacht a vela e che, di solito, vi veniva assegnato solo chi ne faceva richiesta ed aveva avuto già esperienze veliche. Ben presto venni a sapere il perché di questa “chiamata”, per di più decisa ad appena 20 giorni dal momento in cui mi sarei dovuto presentare sulla nuova nave: il Corsaro II avrebbe affrontato una campagna addestrativa molto particolare, in quanto, dopo circa 15 anni di navigazioni effettuate esclusivamente nel Mediterraneo, avrebbe partecipato ad alcune regate in Atlantico, fino a giungere dapprima a Bermuda, poi in Canada. Quindi, un’esperienza particolarmente dura, anche se affascinante: tanto dura che, a quanto pare, era stato fatto il mio nome dopo che altri colleghi più anziani, interpellati ufficiosamente, avevano opposto un secco rifiuto; con me, che ero appena arrivato in Marina, si procedette invece direttamente al trasferimento, e non vi fu verso di rifiutare. A gettare in allarme dapprima i miei colleghi più anziani, e poi me, non era solo la pericolosità di una simile maratona atlantica in barca a vela, ma anche la notizia che la spedizione sarebbe stata guidata da un comandante sulla cui strada si diceva fossero “caduti” professionalmente già diversi colleghi commissari; egli stesso, del resto, mi avrebbe confermato quest’ultimo particolare poco dopo avermi conosciuto (tanto per mettermi sull’avviso). Fu così che, recalcitrante e spaurito, nel giro di pochi giorni partii da Taranto e raggiunsi La Spezia, dove il Corsaro ed il suo nuovo equipaggio si erano – per così dire – dati convegno. Assieme a me, imbarcavano per l’occasione, oltre al Comandante, nove Ufficiali di Stato Maggiore (loro sì, con precedenti esperienze di vela); il medico di bordo, ufficiale di complemento (ma che possedeva una barca a vela); il nostromo ed il nocchiere (ovviamente entrambi con grosse esperienze veliche alle spalle); ed infine, il sergente meccanico ed il radiotelegrafista, che erano gli unici due a condividere con me la più assoluta ignoranza in materia velica. Quando giunsi a La Spezia, mancava un mese all’inizio della campagna addestrativa. In quel mese, avremmo dovuto curare la preparazione nostra e dell’unità nei minimi dettagli, secondo le ferree indicazioni del Comandante, ed avremmo anche effettuato qualche uscita di prova: ne facemmo una, in particolare, che fu un “test” particolarmente probante (da La Spezia alla Gorgona e ritorno), con mare molto mosso e vento sostenuto. Quanto a me, curai fin nelle minuzie il programma amministrativo dell’unità presso il Gruppo Navi Uso Locale di La Spezia (Grupnul), da cui il Corsaro II dipendeva per le questioni amministrative: mi aiutò in modo determinante, in questa nuova e difficile esperienza, il Capo di I^ Classe sc. Luigi Giuliano, una persona eccezionale, morto purtroppo prematuramente qualche anno dopo. Non mancarono, in questa fase, i momenti di tensione con il Comandante, che – forse per la sua maturata diffidenza nei confronti degli ufficiali che si occupavano di soldi, viveri ed acquisti- si mostrava molto esigente e circospetto. Giunsi al punto di chiedergli di essere fatto sbarcare prima della campagna addestrativa, sebbene sapessi che questo avrebbe segnato in modo indelebile la mia carriera. Per tutta risposta, mi disse che il Capo del Corpo di Commissariato della Marina mi aveva affidato a lui dicendogli: “Ne faccia anche un marinaio”; e poiché egli non aveva mai disobbedito ad un ordine di un suo superiore, non l’avrebbe fatto nemmeno stavolta. Come dire: giovanotto, rientra nei ranghi e rassegnati alla tua sorte. Fu un momento duro. Altri ne sarebbero seguiti, ma non nel mio rapporto con il Comandante, che invece –una volta conquistata la sua fiducia –  migliorò progressivamente, fino a diventare di stima ed affetto reciproci. Addirittura, quando ci rivedemmo anni dopo, egli mi propose di imbarcare con lui su Nave Duilio, l’incrociatore di cui avrebbe assunto il comando. Un segno evidente di considerazione. Molto tempo è passato da quell’esperienza, ormai quasi quarant’anni. Io, uscito dalla Marina nel 1997, ho cambiato completamente i miei orizzonti professionali e, dopo 26 anni da magistrato, sono oggi in pensione. Ma ancora nitido è il ricordo della mia avventura che, giorno dopo giorno, fissai sul mio diario personale, in navigazione come durante le soste a terra, per buona parte della campagna addestrativa. Rispetto al testo originale, pochissime ed esclusivamente formali sono le modifiche: la sostanza è salva, e tutte le circostanze – benchè minute od insignificanti- che annotai allora, sono oggi riportate nel testo che segue. Insomma, fatti salvi pochi interventi “postumi” (quelli strettamente necessari) volti unicamente ad eliminare imprecisioni ed improprietà, ho cercato di mantenermi fedele ad un testo che, se non altro, costituisce una raccolta di emozioni e sensazioni narrate “a caldo”, quasi in presa diretta. Buona lettura: e se riuscirò a trasmettere al mio indulgente lettore un briciolo di quelle emozioni e sensazioni (che cercai, allora, di trasfondere in questo Diario), allora avrò raggiunto il mio obiettivo. (Giuseppe PAVICH, già Ufficiale di Marina del Corpo Commissariato Marittimo ora magistrato a riposo – Consigliere della Corte di Cassazione) Il libro è acquistabile su Amazon.it 

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