SEPARAZIONE CON ADDEBITO: NON SERVE PROVA DEL TRADIMENTO di Elena CASSELLA

 

 

 

 

 

 

 

 

Per ottenere la separazione con addebito non serve che il coniuge provi il tradimento dell’altro. Sono sufficienti plausibili sospetti in quanto ledono la dignità e l’onore di chi viene tradito. Lo ho deciso la Cassazione, sesta sezione civile, con ordinanza n. 1136 del 2020. I FATTI: Il Tribunale di Tivoli pronunciava la separazione personale dei coniugi, dalla cui unione era nata una figlia, ormai maggiorenne ed autosufficiente, e la addebitava al marito, a cui carico imponeva l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di 800,00 euro, annualmente rivalutabile. La Corte d’Appello di Roma, adita dall’uomo, con sentenza del 5 settembre 2017, rigettava l’impugnazione ed elevava a 1.200,00 euro l’assegno in favore della moglie. RICORSO IN CASSAZIONE: Il marito proponeva ricorso dinanzi alla Corte Suprema, lamentando:

  • l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia relativo alla dichiarazione di addebito. Secondo il ricorrente la Corte d’Appello ha errato nel non considerare che l’essenza della frattura del rapporto di coniugio risiedeva nel rifiuto opposto dalla moglie di continuare a seguirlo e sostenerlo, e nell’orientare, poi, la propria decisione mediante una sopravvalutazione di elementi indiziari (foto, intestazione di biglietti aerei) riferiti alla relazione con altra donna;
  • l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia quanto alla determinazione dell’assegno di mantenimento. Il ricorrente lamentava che la Corte non ha effettuato alcuna comparazione tra le posizioni reddituali delle parti ed ha riconosciuto l’assegno senza considerare che la moglie era in grado di sostenersi autonomamente;
  • l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia quanto alla condanna alle spese per la soccombenza.

LA DECISIONE:  La Cassazione, con sentenza n. 1136 del 2020, dichiara il ricorso inammissibile. Circa il primo motivo, con cui il ricorrente denunciava l’omesso esame da parte della Corte d’Appello di un fatto decisivo, la Cassazione fa presente come il fatto stesso non sia stato dedotto e come, in ogni caso, non è possibile rimettere in discussione l’apprezzamento dei fatti operato dai giudici del merito. Gli Ermellini, inoltre, sottolineano che la decisione della Corte d’Appello è conforme alla loro giurisprudenza nella parte in cui evidenzia che la relazione con estranei che dia luogo a plausibili sospetti d’infedeltà rende addebitabile la separazione, quando comporti offesa alla dignità e all’onore del coniuge, anche se non si sostanzi in adulterio; e che la decisione del marito di trasferirsi lasciando la casa familiare non è conforme all’obbligo di collaborazione e di concordare l’indirizzo della vita familiare. Per quanto riguarda il secondo motivo, con cui si lamentava la mancata comparazione delle situazioni reddituali dei coniugi, la Cassazione evidenzia come il ricorrente non abbia indicato il fatto oggetto di discussione e poiché in sede di legittimità non è possibile riesaminare le condizioni patrimoniali delle parti, ossia entrare nel merito, anche questo motivo viene dichiarato inammissibile. La Corte ricorda, inoltre, che la giurisprudenza menzionata nel ricorso è stata superata in materia di assegno divorzile dalle Sezioni Unite n. 18287 del 2018. Infine, anche il terzo motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile perché non tiene conto del principio, cui si è attenuta la Corte d’Appello, secondo cui “nel regolamento delle spese processuali il relativo onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini delle spese, in base ad un criterio unitario e globale”.

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Redazione

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