ESECUZIONE DELLA PENA: LA CASSAZIONE INTERVIENE SULLA LEGGE SPAZZACORROTTI.

 

 

 

 

 

 

 

La sesta sezione penale della corte di cassazione, con la sentenza del 20. 03 2019 (ud. 14 marzo 2019), n. 12541 interviene sui profili intertemporali delle modifiche apportate dalla legge cd. “spazzacorrotti” relativamente alle modalità di esecuzione della pena . (Legge 9 gennaio 2019, n. 3 recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche’ in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici – pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 13 del 16 gennaio 2019). La legge in questione,  con l’’art. 1, comma 6,  ha modificato l’4-bis, comma 1 – Ordinamento Penitenziario -, della legge 26 luglio 1975, n. 354, ricomprendendo tra i reati “ostativi” alla sospensione dell’esecuzione di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p., taluni reati contro la pubblica amministrazione, e segnatamente quelli previsti “agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis …La cassazione con la sentenza n. 12541 così si esprime: “Avuto riguardo al diritto vivente – scrive la Cassazione – le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, sono considerate norme penali processuali e non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette – in assenza di una specifica disciplina transitoria – al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 cod. pen. e dall’art. 25 Cost. In applicazione di tale interpretazione, con riferimento ai reati ascritti al ricorrente, non sarebbe più possibile disporre la sospensione dell’esecuzione ai sensi del combinato disposto dell’art. 656, comma 9, cod. proc. pen. in base all’art. 4-bis ord. penit. (come novellato nel gennaio 2019)». «Nella più recente giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo – prosegue la Corte – ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali, i concetti di illecito penale e di pena hanno assunto una connotazione “antiformalista” e “sostanzialista”, privilegiandosi alla qualificazione formale data dall’ordinamento (all’ “etichetta” assegnata), la valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti nonché alle modalità di esecuzione della sanzione o della misura imposta». Alla luce di tale approdo della giurisprudenza di Strasburgo – si legge nella sentenza – «non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l’avere il legislatore cambiato in itinere le “carte in tavola” senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l’art. 7 CEDU e, quindi, con l’art. 117 Cost., là dove si traduce nei confronti del ricorrente nel passaggio – “a sorpresa” e dunque non prevedibile – da una sanzione patteggiata “senza assaggio di pena” ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il già rilevato operare del combinato disposto degli artt. 656, comma 9 lett. a), cod. proc. pen. e 4-bis ord. penit.». Tuttavia – si conclude – «i delineati profili di incostituzionalità pertengono, a ben vedere, non al patto stipulato fra le parti e ratificato dal giudice, né alla pena applicata su richiesta – di per sé validi e “indifferenti” alla novella normativa del 2019 -, bensì alla mera esecuzione della sanzione, incidendo, come si è già detto, sulla sospendibilità, rectius non sospendibilità, dell’ordine di esecuzione. In altri termini, la questione di incostituzionalità prospettata afferisce non alla sentenza di patteggiamento oggetto del presente ricorso, ma all’esecuzione della pena applicata con la stessa sentenza, dunque ad uno snodo processuale diverso nonché logicamente e temporalmente successivo, di talché ai fini della decisione di questa Corte non rileva, potendo se del caso essere riproposta in sede di incidente di esecuzione».

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Redazione

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