LA TURCHIA GESTIRA’ LA GUARDIA COSTIERA LIBICA

Il  coinvolgimento Italiano nasce nel 2017 quando dal memorandum firmato tra Gentiloni ed al Sarraj ne esce l’intesa che a patto che Tripoli gestisca correttamente i propri centri per i migranti, l’Italia fornirà il suo supporto alla ricostruzione e rifornimento della Marina e Guardia costiera libica. Di fatto non si tratta di un’intesa vincolante ma di un accordo sulla fiducia tra le parti, fiducia che più volte è stata violata da parte libica con numerosi report a testimoniare la ingiuriosa e disumana situazione in questi centri per i migranti. L’Italia in tutto questo ha svolto il suo ruolo attivo, fornendo una serie di motovedette da ricognizione ed addestrando il personale, ma poi non vigilando sull’effettiva implementazione del memorandum e correttezza delle operazioni della Guardia costiera.

Perché gestire la Guardia costiera era così importante?

Nell’ottica di una politica estera che vede la Libia come uno Stato partner, sarebbe impossibile teorizzare questo legame senza un effettivo aiuto nella ricostruzione del tessuto statale e sociale del Paese. L’interesse di ENI e di altre aziende che lavorano in Libia viene o veniva scambiato con progetti bilaterali volti ad aiutare la nazione sotto altri punti di vista. Nei recenti anni l’Italia si è mossa prima con l’operazione Ippocrate, ora MIASIT, poi con le missioni europee Sophia ed Irini. Quest’ultime avrebbero voluto ricostruire una Marina libica in grado di gestire, autonomamente e nel pieno rispetto del diritto umanitario, i flussi migratori provenienti dal Sahel ed il Corno d’Africa. Ad addestrare il nuovo personale, secondo il recente decreto missioni, sarebbero stati il Corpo della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri, accanto a questi, altro personale civile sarebbe stato coinvolto nella costruzione in una mini-scuola nautica ed un cantiere navale. Il progetto era quello di rendere autonomi e consapevoli i nostri partner per cominciare a formare del personale che agisse in sinergia con le missioni internazionali nel Mediterraneo centrale.

Gli accordi con l’Italia offrivano aiuti economici e mezzi, utili ma non fondamentali come l’impegno turco con il costante rifornimento negli scontri contro il generale Haftar. Lo stesso memorandum è un stretta di mano che vale fino a che una delle controparti non rispetta il patto, in questo caso il governo di Tripoli, ma che lega come un nodo la nostra nazione, costretta per il ruolo che svolge a fornire questo tipo di aiuto nonostante tutto poiché di primaria importanza anche dal punto di vista europeo. L’Italia ha continuato, od almeno, ha tentato, di ritagliarsi un ruolo in Libia con delle deboli mosse diplomatiche ogni qual volta il flusso dei migranti ritornava a preoccupare, una strategia che mira al risultato istantaneo più che al progetto a lungo termine e di fatti è stato così. Il piano a lungo termine italiano ed europeo è stato polverizzato nel giro di poco grazie al piano politico e militare turco che ha saputo vedere nel bisogno di sostegno da parte del governo di Tripoli un’opportunità per espandere la propria influenza nel Mediterraneo. Pragmaticamente significa ridiscutere le aree d’interesse e di accesso alle materie prime, nonché guadagnarsi una posizione geopolitica fondamentale in un’area cruciale per il vicino Oriente, l’Europa e l’Africa, potendo vantare dialoghi di forza anche con giganti come l’Unione.

La svolta turca e le implicazioni nella guerra contro Haftar

Come riportato da Repubblica, l’addestramento del personale sarà ora guidato dalla Turchia che, grazie ai mezzi donati dall’Italia, potrà gestire a suo modo il flusso di migranti pronto a partire verso l’Europa. E’ uno scacco al lavoro ed impegno italiano che si è vista sottrarre il suo ruolo con una facilità quasi umiliante. I pericoli che derivano da questo inaspettato cambio nel corso degli eventi sono molteplici. Innanzitutto, come detto, la Turchia avrà accesso diretto ad una porzione di mare fondamentale, cosa che era preclusa invece per l’Italia. I suoi Marines e la Guardia, sempre secondo Repubblica, hanno già collaborato questo gennaio per dirottare verso terra imbarcazioni di migranti pronte ad arrivare in Europa, testimoniando la sinergia tra le parti. Questo permetterebbe ad Erdogan di avere il controllo sui due “rubinetti” dei flussi migratori, quello di turco e libico, aumentando il suo potere contrattuale verso l’Europa qualora minacciata di sanzioni o altre ripercussioni. Dal punto di vista bellico, invece, significa avere il pieno accesso alle acque territoriali libiche, verso Tripoli ed il suo porto, potendo, in teoria, far convogliare ancora più rinforzi in mezzi e uomini per al Sarraj, garantendogli così un corridoio di rinforzi ancora più strutturato. In questo, la presenza di Irini a monitorare l’embargo di armamenti risulta ancora più impotente laddove le navi turche potranno avere un esplicito consenso da parte di Tripoli di attraccare o far finta di svolgere operazioni di ricognizione a favore della Guardia costiera. Se il Mediterraneo orientale è conteso tra Ankara ed Atene, quello centrale si sta trasformando in una rotta primaria turca in cui l’Italia e l’Unione osservano lo scorrere degli eventi impassibili.
Nonostante sembri che le forze turche siano nel cosiddetto “over-stretching”, ovvero stiano cercando di coprire più fronti di quanti in realtà potrebbero fare, un’ulteriore sostegno al riarmo della Marina, in ottica futura, potrebbe far emergere la Libia come nuova minaccia alla stabilità del Mediterraneo. L’impegno italiano era fondamentale per incanalare le forze e le energie del personale libico in pratiche e standard conformi agli standard europei.

Edoardo Del Principe, Geopolitica.info

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