Quando sentiamo parlare di meritocrazia, tutti ci sentiamo molto propensi e bendisposti verso questo sistema di valutazione e valorizzazione degli individui, basato esclusivamente sul riconoscimento del loro merito. Ci piace e vorremmo assolutamente che solo il merito costituisse il criterio di scelta e di valutazione della societa’ nei nostri confronti. Questo anche perche’, normalmente ognuno di noi si valuta molto migliore di quello che pensiamo gli altri ci giudichino e vorremmo dimostrarlo tramite un confronto leale senza favoritismi e corruzione, basato solo sulle reali capacita’ di ciascun contendente. Le prime basi teoriche del concetto di meritocrazia vengono stabilite in Inghilterra a meta’ del 800, con la nascita del liberismo, e sdoganavano i privilegi per nascita dell’aristocrazia contrapponendo una societa’ borghese nella quale la tradizionale divisione in classi della popolazione veniva sostituita con una divisione basata sul merito, definito dalla combinazione di intelligenza e impegno. La vera ufficializzazione di questo termine fu stabilito dal sociologo inglese Michel Young, che delineo’ nel 1958 le sue linee di principio e di condotta nel romanzo “The Rise of the Meritocracy”. Di fatto, nelle intenzioni di questa teoria, la lotta contro i privilegi aristocratici avrebbe portato ad una nuova societa’ basata su nuove classi, di meritevoli e potenti da una parte e di poveracci e succubi dall’altra: altro che primato delle capacita’ personali sui privilegi, come le intendiamo noi, la meritocrazia applicata alla lettera era un incubo generatore di disuguaglianza, frustrazioni, dispotismo e rancore asociale. Un bel principio applicato decisamente male perche’, se applichiamo acriticamente la retorica della meritocrazia, che ci porta a pensare che dobbiamo premiare, socialmente, economicamente, politicamente solo chi ce l’ha fatta, il passo successivo e’ l’equivalenza per la quale bisogna punire o, nel migliore dei casi, abbandonare a se stesso chi, invece, non riesce a farcela. Questa esasperazione lo vediamo in molti aspetti della logica sociale del capitalismo americano, dove chi e’ ricco, chi lavora, chi si impegna senza sosta e’ uno bravo e chi e’ povero e’ un disgustoso perdente, schifato da tutti e senza possibilita’ di sostegno da parte delle strutture statali e sanitarie. Questa e’ la logica della meritocrazia in senso stretto! Addirittura, il concetto meritocratico sta prendendo sempre piu’ vigore nella sinistra mondiale, tra cui brilla quella italiana, dove il messaggio della corrente renziana era ed e’ ancora: “Chi ce l’ha fatta, ce l’ha fatta per merito ed il merito e’ di sinistra, che si tratti della selezione delle classi dirigenti, che si tratti di concorsi, che si tratti di dirigenti nella pubblica amministrazione, il merito e’ il nostro unico parametro di misura” come affermava la ex Ministra Bellanova alla Leopolda qualche anno fa (pochi!). Tutto teoricamente ed emotivamente molto bello, molto giusto, molto di sinistra. Ed anche nel M5S si e’ dibattuto molto sul merito, visto come onesto riconoscimento del valore della persona, che si contrappone ai baronismi, nepotismi e raccomandazioni; anche se poi, nell’isteria schizofrenica di questo movimento, si contrappone anche il concetto di “uno uguale uno” e della inutilita’ della competenza in confronto all’onesta’ morale. Praticamente, gli unici che sciano sull’argomento sono i partiti di destra, in particolare quelli piu’ liberali e capitalisti, che invece ne dovrebbero essere permeati. Mah! In realta’ la scelta tra meritocrazia ed assistenzialismo e’ molto delicata e, comunque, non priva di errori ed orrori, come avere una bomba sociale composta da frustrati e insoddisfatti, che non ce l’hanno fatta e che molto probabilmente non ce la faranno mai, facile preda di fondamentalisti religiosi ed estremisti politici. Una bomba pronta a scoppiare in posizioni di disubbidienza civile se non addirittura di rivolta e terrorismo contro chi ce l’ha fatta. Un razzismo non basato sul colore della pelle, ma sulle qualita’ intellettive delle persone, dove gli oppressi sono tutti coloro che soccombono alla frenesia meritocratica non riuscendo, per loro demerito o per impossibilita’ economica, a starci dietro. Confesso che non riesco a stabilire con sicurezza cosa sia meglio tra i due, anche se naturalmente sarei piu’ propenso verso il premio del merito. Secondo me, e’ bene chiarire ai nostri giovani, che solo con l’impegno, la determinazione e le capacita’ intellettuali, si puo’ ottenere un miglioramento del proprio tenore di vita ed un progresso in carriera. Questo devono sapere i nostri ragazzi, affinche’ facciano le loro scelte di vita con la piena consapevolezza. La tanta decantata “meritocrazia”, che tutti vorremmo fosse applicata in Italia, purtroppo non puo’ e non deve tenere conto della compassione, altrimenti non si premia il merito ma la condizione specifica e le debilitazioni. Quindi, facciamo attenzione a non entusiasmarci troppo nel chiedere criteri meritocratici, perche’ diventeremmo immediatamente degli esseri disumani. Questo perche’, secondo i criteri del merito, se non ti va di impegnarti e rimani continuativamente nella tua inettitudine, accidia o ottusita’, oppure sei solamente sfortunato, perdurerai per tutta la vita ad essere l’ultima ruota del carro, a cui verranno affidati solo i lavori piu’ umili e faticosi, fino alla fine della tua attivita’ lavorativa, ed avrai una pensione da fame adeguata al tuo livello… oppure, se sei proprio fortunato, potrai sperare di vincere al Grattaevinci (facendo attenzione che non ti freghino il biglietto!) oppure ambire ad una posizione di navigator o, nel migliore dei casi, diventare senza merito Ministro degli Esteri.
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