RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO: QUANDO INSORGE IL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO? di Cosimo MONTINARO

Sentenza Tribunale Civile di Lecce n. 2426 del 2021 del 9 settembre 2021

[…] Sotto un profilo generale si ricorda che la responsabilità professionale dell’avvocato trae la sua fonte nel contratto che lega il legale al cliente e in forza del quale il primo si impegna a prestare in favore del secondo la propria opera professionale, sia giudiziale che stragiudiziale.

L’attività che il legale presta nei confronti del cliente rientra nelle previsioni di cui all’art. 2230 c.c. e ss., ma l’aspetto della responsabilità professionale è disciplinato dagli artt. 1218 c.c., 1176 c.c. e 2236 c.c..

In particolare, l’art. 1176 c.c. prevede che “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata“.

L’art. 2236 c.c., dedicato alla responsabilità del prestatore di opera, prevede che “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave“.

È pacifico che l’obbligazione assunta dal legale sia un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista si impegna a svolgere l’incarico, con la diligenza esigibile, per consentire il raggiungimento del risultato sperato, ma non assume l’obbligazione di procurare con certezza quel risultato. Pertanto, l’inadempimento del suddetto professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata, ragion per cui l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine, positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l’onere di fornire, circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo (così Cass. Civ., n. 16846del 2005).

Il legale ha dunque l’obbligo di svolgere la propria attività con la diligenza di cui all’art. 1176 c.c.. A tal proposito, secondo quanto confermato anche dalla Corte di Cassazione con Sentenza n. 2954/2016, il grado di diligenza richiesto all’avvocato è quello medio inerente alla natura dell’attività prestata “a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà: in tal caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente elusione nell’ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve” (v. Cass. n. 8470/1995).

Si precisa che l’accertamento sulla sussistenza di problemi tecnici di particolare difficoltà che la prestazione professionale eseguita sia stata chiamata a risolvere spetta al giudice del merito, il quale vi provvede con giudizio incensurabile in sede di legittimità, purché sorretto da una congrua motivazione e privo di vizi logici o errori di diritto (Cfr. Cass. n. 7618 del 1997).

In ogni caso, il diritto al risarcimento del danno non insorge automaticamente quale conseguenza di qualsivoglia inadempimento del professionista, dovendosi piuttosto valutare, sulla base di un giudizio probabilistico, se, in assenza dell’errore commesso dall’avvocato, l’esito negativo per il cliente si sarebbe ugualmente prodotto (Cfr. Cass. n. 297 del 2015).

Sulla scorta di questo consolidato orientamento, con sentenza n. 1984 del 2016 la Cassazione ha ribadito che “la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone” (Cfr.  Cass. n. 2638 del2013) […]. (Avv. Cosimo MONTINARO, Via M.R. Imbriani, 24 – Lecce,  0832.1827251, [email protected])

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