Con la pronuncia n. 9006/2021, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione tornano a delineare i limiti del concetto di ordine pubblico internazionale rispetto alla conformità ad esso di atti formati all’estero, che rappresentano genesi ed attestazione di rapporti filiali tra coppie omosessuali e minori. L’occasione è fornita dall’esame di un adoption order, provvedimento giurisdizionale emesso dalla Surrogate Court dello Stato di New York che attribuisce ad una coppia omosessuale lo status di genitori adottivi di un minore, dopo aver preventivamente acquisito il consenso del birth father e della birth mother, e dopo averne valutato in concreto l’idoneità alla adozione, al fine di verificare la conformità della stessa al best interest of the child. Una volta chiarito che la valutazione della conformità dell’atto alla nozione di ordine pubblico internazionale è limitata agli effetti che esso è destinato a produrre nel nostro ordinamento (e non al suo contenuto, né alla conformità della legge estera a quella nostra interna regolativa dei medesimi istituti), e appurata la diversità della fattispecie rispetto alla differente ipotesi dello status filiationis connesso a pratiche di procreazione o di surrogazione, la Corte procede alla delimitazione del concetto di ordine pubblico internazionale al fine di compiere la valutazione di compatibilità o meno ad esso degli effetti dell’atto in esame. Sulla scorta di consolidati orientamenti – per i quali tale nozione ha funzione sia di limite dell’applicazione della legge straniera, che di promozione e garanzia di tutela dei diritti fondamentali della persona – la Corte ribadisce che per ordine pubblico internazionale deve intendersi quel coacervo di principi provenienti dal diritto dell’Unione Europea, delle Convenzioni sui diritti della persona cui l’Italia ha prestato adesione e con il contributo essenziale della giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte Europea dei diritti umani, oltre a quelli derivanti dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie che ne interpretano i valori. Trattasi dunque di un complesso armonico tra valori condivisi dalla comunità internazionale e gli ordinamenti giuridici unitamente all’impianto valoriale proveniente dalla Costituzione e dalle leggi che ad essa si ispirano. Nella materia della filiazione, l’identità del concetto in parola è fornito da una serie di principi: 1) l’autodeterminazione e le scelte relazionali del minore e degli aspiranti genitori (art. 2 Cost.; art. 8 Cedu); 2) il preminente interesse del minore di origine convenzionale, ma ampiamente attuato in numerose leggi interne ed in particolare nella recente riforma della filiazione (legge delega n. 219 del 2012, decreto legislativo n. 153 del 2013); 3) il principio di non discriminazione, rivolto sia a non determinare ingiustificate disparità di trattamento nello status filiale dei minori con riferimento in particolare al diritto all’identità ed al diritto di crescere nel nucleo familiare che meglio garantisca un equilibrato sviluppo psico-fisico e relazionale, sia a non limitare la genitorialità esclusivamente sulla base dell’orientamento sessuale della coppia richiedente; 4) il principio solidaristico che è alla base della genitorialità sociale sulla base del quale la legge interna (L.n. 184 del 1983 così come modificata dalla l. n.149 del 2001 e dalla recente legge sulla continuità affettiva n. 173 del 2015) ed il diritto vivente hanno concorso a creare una pluralità di modelli di genitorialità adottiva, unificati dall’obiettivo di conservare la continuità affettiva e relazionale ove già stabilizzatasi nella relazione familiare. Sulla base di questo quadro ricco ed unificante di principi di ordine pubblico internazionale, in primo luogo la Corte ricorda come del tutto indifferente alle ipotesi di filiazione adottiva sia l’orientamento sessuale degli adulti, circostanza già ribadita, non ultimo, con la pronuncia n. 14007/2018; sotto tale aspetto, va dunque ricordato che l’ininfluenza dell’orientamento sessuale nelle controversie riguardanti l’affidamento dei minori e la responsabilità genitoriale all’interno del conflitto familiare, costituisce un approdo fermo nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 601 del 2013), così come anche per l’accesso all’adozione non legittimante delle coppie omoaffettive (Cass. 12962 del 2016), considerata la mancanza di riscontri scientifici sulla inidoneità genitoriale di una coppia formata da persone dello stesso sesso. La conferma più rilevante a tela principio, tuttavia, si ritrae dalla sentenza delle S.U. n. 12193 del 2019 che – pur affermando la contrarietà ai principi fondamentali che compongono l’ordine pubblico della genitorialità formatasi per effetto della gestazione per altri (o surrogazione di maternità) – limita a questo solo aspetto il contrasto, reputando il divieto interno e la sanzione penale consequenziale espressione di valori fondamentali quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, ma esclude che sia da ricondurre a principio fondamentale dell’ordinamento l’eterosessualità della coppia nella definizione dei limiti al riconoscimento di atti stranieri relativi a status filiali. Ne consegue che la condizione soggettiva costituita dall’eterosessualità della coppia che permane ancora all’interno del nostro ordinamento anche in relazione all’accesso all’unione matrimoniale, introduce un limite che definisce, allo stato attuale, la disciplina normativa applicabile soltanto ad alcuni istituti; tale limite, invece, non costituisce principio di ordine pubblico internazionale, anche per effetto di una prospettiva maggiormente inclusiva dei modelli relazionali e familiari che richiedono riconoscimento e tutela, realizzata mediante un’interpretazione aperta dell’art. 2 Cost. (Corte Cost. n. 138 del 2010 e 170 del 2014) e dell’art. 8 Cedu . In tale percorso evolutivo, si inserisce, osserva la Corte, sia la L. 76 del 2016, nonché la convinzione giuridicamente apprezzabile per cui il margine di apprezzamento degli Stati e la conseguente discrezionalità legislativa interna nell’introdurre alcune condizioni limitanti nella equiparazione piena del sistema di diritti tra coppie eterosessuali ed omosessuali, oltre a non poter oltrepassare il limite della proporzionalità tra il sacrificio del diritto fondamentale in gioco e l’interesse di rilievo pubblicistico che sottende la limitazione, non modificano il riconoscimento, costituzionale e convenzionale, delle unioni omoaffettive come luoghi in cui si sviluppa la personalità dei soggetti coinvolti (art. 2 Cost.) anche in ordine all’aspirazione alla genitorialità, quando si formi in un contesto relazionale caratterizzato da stabilità giuridica ed effettiva (art. 8 Cedu) e, soprattutto non possono incidere sulla centralità del preminente interesse del minore nelle decisioni che riguardano il suo diritto all’identità ed ad uno sviluppo individuale e relazionale equilibrato e senza strappi. Sotto tale aspetto, la Corte evidenzia anche, a riprova della omogeneità del sistema come delineato, come con le pronunce n. 221 e 237 del 2019, e n. 230/2020, il Giudice delle leggi ha ritenuto di escludere che la limitazione alle coppie eterosessuali dell’accesso alla p.m.a possa essere espressione di un valore fondante l’ordinamento, condiviso ed irrinunciabile, risultando invece il frutto di una scelta di politica legislativa contingente, contestualizzata e dunque modificabile, in quanto ancorata ad un quadro di riferimento storico e ad opzioni culturali ( e conseguentemente giuridiche) legittime ma non universalmente condivise. In conclusione, l’esame dei più recenti interventi della giurisprudenza costituzionale e di legittimità non consente d’introdurre tra i principi di ordine pubblico internazionale che possono costituire il limite al riconoscimento dell’atto estero in questione, le condizioni di accesso alla genitorialità adottiva legittimante (e dunque il paradigma eterosessuale) contenute nell’art. 6 della l. n. 184 del 1983 e dall’art. 1 c.20 l. n. 76 del 2016, dovendosi ritenere altresì estraneo alla ipotesi in esame ogni riferimento al dibattito sulla genitorialità nascente da pratiche procreative, ed evidenziandosi invece come nell’ordinamento coesistano principi di derivazione costituzionale e convenzionale, a cui garantire applicazione, che si pongono rispetto ad essi in una condizione di netta sovraordinazione e preminenza sia per la loro collocazione tra i diritti inviolabili della persona, sia per il grado di condivisione che ne costituisce un tratto peculiare. Tra tali principi, ruolo cardine va assicurato al preminente interesse del minore nelle determinazioni che incidono sul suo diritto all’identità, alla stabilità affettiva, relazionale e familiare, contenuto nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, nell’art.3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e divenuto parte integrante della costruzione del diritto alla vita privata e familiare ad opera della Corte europea dei diritti umani, oltre che fondamento della riforma della l. n. 184 del 1983 ad opera della l. n. 149 del 2001, della recente legge sulla continuità affettiva (n. 173 del 2015), nonché di tutta la disciplina legislativa relativa alla responsabilità genitoriale, ed agli status filiationis (anche secondo la citata sentenza n. 272 del 2017 della Corte Costituzionale), essendo una delle estrinsecazioni più rilevanti dell’art. 2 Cost.. A tale principio, si affianca quello della parità di trattamento tra tutti i figli (c.d. status unitario di figlio), nati all’interno e fuori del matrimonio o adottivi, che trova la sua fonte costituzionale negli artt. 3 e 31 Cost. e che è stato inverato dalla recente riforma della filiazione (L.n. 219 del 2012; decreto legislativo n. 154 del 2013). Valutato e valorizzato in tali termini, ed ampliato in tale misura il concetto e l’ambito applicativo della adozione, la Corte osserva pertanto come l’unione matrimoniale così come prevista nell’art. 29 Cost., sebbene costituisca il modello di relazione familiare fornito, allo stato attuale della regolazione interna, del massimo grado di tutela giuridica ,non identifica più, soprattutto dopo la riforma della filiazione, il modello unico (o quello ritenuto esclusivamente adeguato) per la nascita e la crescita dei figli minori, e conseguentemente deve escludersi che esso possa operare come un limite al riconoscimento degli effetti di un atto che attribuisce la genitorialità adottiva ad una coppia omoaffettiva, peraltro unita in matrimonio, tanto più che in relazione alla genitorialità sociale l’imitatio naturae manca ab origine ed è ampiamente compensata dalle ragioni solidaristiche dell’istituto e, con riferimento al minore, dalla realizzazione, da assoggettarsi a verifica giurisdizionale, del processo di sviluppo personale e relazionale più adeguato alla sua crescita. Da tali ricche ed argomentate considerazioni, la Corte afferma dunque il principio secondo cui “Non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell’adozione piena o legittimante, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare del figlio minore adottivo sia omogenitoriale ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione”. (Giudice presso il Tribunale di Napoli, sezione famiglia )
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