TROPPO BREVE IL TERMINE DI 24 ORE PER I RECLAMI CONTRO I PERMESSI PREMIO

Con sentenza n. 113 del 2020,  la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter comma 7 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede, mediante rinvio all’ art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni.  Un termine di sole 24 ore per presentare reclamo contro il provvedimento sui permessi premio lede il diritto di difesa del detenuto e rappresenta un indebito ostacolo alla funzione rieducativa della pena, alla quale i permessi premio sono funzionali. Lo ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n.113, depositata il 12 giugno (relatore Francesco Viganò), accogliendo la questione sollevata dalla Cassazione su una norma dell’Ordinamento penitenziario che irragionevolmente prevede un identico termine per il reclamo sia contro i provvedimenti sui permessi di necessità – legati a situazioni di imminente pericolo di vita di familiari o altri gravi eventi eccezionali – sia contro quelli  riguardanti i permessi premio, sebbene siano diversi presupposti e finalità. L’eccessiva brevità del termine era già stata portata all’esame della Consulta che, con la sentenza n. 235 del 1996, aveva rilevato l’irragionevolezza dell’identico termine per il reclamo contro due diversi tipi di permesso e tuttavia aveva ritenuto di fermarsi all’inammissibilità delle questioni prospettate, non riuscendo a rintracciare nell’ordinamento una soluzione costituzionalmente obbligata che potesse porre direttamente rimedio alla, pur riscontrata, eccessiva brevità del termine in esame. In quell’occasione la Corte aveva però invitato il legislatore a «provvedere, quanto più rapidamente, alla fissazione di un nuovo termine che contemperi la tutela del diritto di difesa con le esigenze di speditezza della procedura». Esaminando nuovamente la questione a distanza di ventiquattro anni da quel monito, rimasto inascoltato, la Corte ha ribadito la contrarietà alla Costituzione di un termine così breve, che rende assai difficile al detenuto far valere efficacemente le proprie ragioni, anche per l’oggettiva difficoltà di ottenere in così poco tempo l’assistenza tecnica di un difensore; e ha individuato nella disciplina generale del reclamo contro le decisioni del magistrato di sorveglianza, introdotta dal legislatore nel 2013, un preciso punto di riferimento per eliminare il vulnus riscontrato. Questa disciplina prevede oggi un termine di quindici giorni per il reclamo al Tribunale di sorveglianza, che la Corte ha pertanto esteso anche al reclamo contro i provvedimenti concernenti i permessi premio proposti da parte del detenuto o del pubblico ministero. Resta ferma, ha precisato la Corte, la possibilità per il legislatore di individuare – nel rispetto dei principi costituzionali sopra richiamati – un altro termine, se ritenuto più congruo, per lo specifico reclamo in esame.

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Redazione

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