Così ha deciso la cassazione con la sentenza sotto riportata.
SENTENZA
sul ricorso proposto da … OMISSIS …
avverso la sentenza del 29.01.2019 della Corte di appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Martino Rosati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Mariella De Masellis, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto del suo difensore, … omissis … impugna per cassazione la sentenza della Corte di appello di Trieste del 29 gennaio 2019, che, riformando quella assolutoria di primo grado, lo ha condannato per il delitto di cui all’art. 336, cod. pen.. Gli si addebita di aver ripetutamente minacciato ad un veterinario della Asl una «denuncia per danni», nella consapevolezza ell’arbitrarietà della stessa, fine di costringerlo ad emettere un certificato ‘idoneità all’alimentazione umana di un bovino, da lui macellato senza il rispetto delle procedure di legge.
- Il ricorso rassegna due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo si lamenta la violazione dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., per avere la Corte d’appello ribaltato la pronuncia assolutoria di primo grado, in accoglimento di gravame del Pubblico ministero, senza procedere alla rinnovazione delle prove dichiarative.
2.2. Con il secondo, si deducono vizi di motivazione, nella parte in cui è stato ritenuto configurabile l’ipotizzato reato nella condotta dell’imputato, assumendosi che questi abbia agito nella convinzione del carattere dovuto dell’atto da lui richiesto al pubblico ufficiale e, quindi, della legittimità dell’iniziativa giudiziaria da lui prospettata. Con richiamo di giurisprudenza di legittimità, infatti, si sostiene che la prospettazione di una denuncia all’autorità giudiziaria non costituisca in sé minaccia od oltraggio, tanto più quando si accompagni alla specificazione dell’oggetto e sia espressa in termini civili benché risentiti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- La condotta addebitata all’imputato non integra il delitto a lui ascritto.
Perché possa ritenersi sussistente il delitto di cui all’art. 336, cod. pen., l’idoneità della minaccia dev’essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto e dovendosi avere riguardo alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato; a nulla rileva, invece, che, in concreto, i destinatari non siano stati intimiditi, né che il male minacciato non
si sia realizzato o non sia realizzabile, a meno che, in quest’ultima ipotesi, ciò valga a privare la minaccia di qualsiasi parvenza di serietà (vds., fra altre, Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014, Coccia, Rv. 260324; Sez. 6, n. 32390 del 16/04/2008, Martucci, Rv. 240650).
- Nel caso specifico l’idoneità costrittiva sul pubblico ufficiale della condotta tenuta dal ricorrente, per come esposta in sentenza, si rivela insuperabilmente dubbia. Egli si sarebbe limitato, infatti, dapprima di persona e successivamente per telefono, a prospettare al veterinario della Asl di «denunciano per danni», ovvero
– deve intendersi – di intraprendere nei suoi confronti un’azione risarcitoria dinanzi al giudice civile.
2.1. La Corte di appello ha ritenuto decisiva, ai fini del giudizio di
colpevolezza, la malafede dell’imputato, ovvero la consapevolezza dell’illegalità dell’atto da lui richiesto a quel pubblico ufficiale e, dunque, la coscienza dell’infondatezza della propria pretesa.
E’ questa, però, una valutazione logicamente successiva a quella sulla valenza intimidatrice della condotta e che può avere rilevanza ai fini dell’accertamento del dolo. L’idoneità del comportamento dell’agente a coartare la libertà del pubblico operatore nello svolgimento del suo servizio, invece, dev’essere valutata esclusivamente su base oggettiva, in ragione, cioè, delle
modalità e circostanze dell’azione.
3.2. Sulla base di tali premesse, ritiene il Collegio che la prospettazione di adire il giudice civile non rivesta di per sé alcuna capacità costrittiva della libertà di determinazione e di azione dell’agente pubblico a cui venga rivolta, pur quando la stessa sia palesemente infondata, e, anzi, tanto più allorquando sia tale e di ciò il destinatario sia consapevole. E tanto deve affermarsi, a maggior ragione, laddove la stessa venga reiterata anche in presenza di operatori di polizia giudiziaria, secondo quel che sarebbe avvenuto nell’ipotesi in rassegna (pag. 4, sent.), perdendo essa, in tal caso, ogni connotazione ritorsiva, e dunque minacciosa, anche soltanto implicita od obliqua.
4. Non potendo ravvisarsi nella condotta dell’imputato, così come descritta nella sentenza impugnata, gli estremi del delitto a lui contestato, tale decisione dev’essere annullata; e, non emergendo da essa spazi per possibili approfondimenti istruttori, non vi è ragione per rinviare gli atti al giudice di merito.
L’annullamento dev’essere perciò disposto senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.
Cassazione Penale Sez. 6, Sentenza Num. 13156 Anno 2020 Presidente: FIDELBO GIORGIO Relatore: ROSATI MARTINO Data Udienza: 04.03.2020