LA BANDA DELLA MAGLIANA, TUTTO VERO? di Alessandra Alice ZORZI

LA BANDA DELLA MAGLIANA, TUTTO VERO? – È a tutti nota come “Banda della Magliana” l’organizzazione criminale assurta alle pagine delle cronache per gravi crimini commessi sin dagli anni ’70 a Roma e, non solo. Non pochi giornalisti hanno utilizzato spesso questa definizione per indicare addirittura tutta la malavita romana. La “Banda”, resa ancor più famosa da un romanzo, un film e una serie TV, prende il nome dall’omonimo quartiere popolare della Capitale. Ma è davvero andata così? Le sentenze che si sono susseguite, inducono dubbi sulla ricostruzione dei fatti.

A Roma, dagli anni ’60, agivano gruppi eterogenei, caratterizzati da una forte territorialità, attivi nello sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo, usura  e nelle rapine, compiute da “batterie” locali. A seguito di contatti e incontri con membri di Cosa Nostra e di altre associazioni, causati dal soggiorno obbligato, iniziarono a essere coinvolte anche nel traffico di droga. Alle origini della “Banda” vi era, probabilmente, più che la volontà di unire i gruppi della malavita romana ed escludere gli esterni, quella evitare conflitti e limitare interventi di polizia. Nella mala romana, infatti, non si è mai registrata l’organizzazione piramidale che caratterizza altre strutture criminali.

E’ quindi verosimile il tentativo di coalizione da parte di batterie per assumere il controllo del territorio romano. L’operato della “Banda” è stato collegato ad alcuni gravi episodi non solo dell’epoca: i nomi dei membri si trovano nell’omicidio Pecorelli, nel Caso Moro, nella scomparsa di Emanuela Orlandi, nell’attentato a Giovanni Paolo II e nel tentato omicidio del banchiere Rosone a Milano, dove venne ucciso uno dei suoi esponenti.

Ma già in uno dei processi a suo carico nel 1986, l’aggravante mafiosa, seppur contestata, non venne ravvisata, così come accaduto oltre trent’anni dopo, nel processo “Mafia Capitale”. Accertati i reati sussistono quindi dubbi sulla reale struttura del sodalizio e sulle modalità operative. Più episodi in cui, a distanza di anni, troviamo gli stessi nomi; ma episodi non uniti da un unico filo conduttore.

Il “metodo mafioso” è un vincolo associativo con requisiti di sudditanza e omertà: un legame che prevede violenza per i riluttanti; l’organizzazione deve avere caratteristiche da garantire la durata nel tempo. Tale vincolo, già nel primo processo, crollò in Appello, e la sentenza venne confermata dalla Cassazione nel 2000. Nonostante il numero degli aderenti, l’ascendente che avevano sul territorio, la condotta criminale complessiva, mai è stato riconosciuto un vincolo che rappresentasse un collante quale quello mafioso o una struttura capillare e perdurante che collegasse componenti ed episodi.

Non è questione di lana caprina; l’associazione di tipo mafioso si caratterizza e si distingue da quella “normale”, oltre che per l’eterogeneità degli scopi, anche dall’oggetto del programma e per il ricorso alla forza di intimidazione per il conseguimento dei propri fini e alla conseguente condizione di assoggettamento dei terzi rispetto al suo operato. Niente di tutto ciò è stato rilevato.

Dalle cronache, oltre alle sentenze, risulta come i gruppi che formavano la “Banda” siano sempre stati in lotta tra loro. Gli omicidi di molti membri sono stati commessi da altri affiliati e molti di loro hanno operato spesso autonomamente. Inoltre i componenti della “Banda”, venivano dalla strada; nessuno di loro sembra avere le capacità di gestire un’organizzazione capillare e strutturata come quella che vorrebbe la cronaca, tale da dialogare con politici e mafiosi di peso. Più probabilmente si trattava di manovalanza da assumere al momento. Dopo i primi periodi, più che quelli associativi, emergono elementi di disgregazioni interna, anarchia e mancanza di collaborazione tra i membri che si combattevano tra loro.  Forse anche la cronaca dovrebbe rileggere l’intera storia. ( Fonte: https://www.futuro-europa.it/#/article/33411)

/ 5
Grazie per aver votato!

Redazione

BLOG fondatto e curato da Angelo RUBERTO, Avvocato Penalista del Foro di Bologna, Presidente dell’Associazione “Rete Nazionale Forense”. Il fondatore del sito, al momento non ha intenzione di registrare questa testata giornalistica online poiché tale registrazione è necessaria solo per coloro che intendono ottenere contributi statali, secondo quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70. ©2018-2024 Tutti i Diritti Riservati