ALLE SEZIONI UNITE QUESTIONE RELATIVA ALLA RETRODATAZIOONE DEI TERMINI DI CUSTODIA CAUTELARE: In tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare ex art. 297 comma 3 c.p.p. (con riguardo all’eventualità che questa non venga effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare, bensì computando l’intera custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee), con ordinanza della IV sezione penale della cassazione è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: «se, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., deve essere effettuata frazionando la durata globale della custodia cautelare, ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee, oppure computando l’intera durata della custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee» (Cfr. Cassazione Penale, Sez. IV, del 3 marzo 2020 (ud. 19 febbraio 2020), n. 8546).
CORTE COSTITUZIONALE: ILLEGITTIMO ART. 13 COMMA 3 QUATER D.L.vo n. 286 del 1998: Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550 del codice di procedura penale, il giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere). L’ORDINANZA DI RIMESSIONE dubitava della legittimità costituzionale della norma nella parte in cui – applicandosi anche alle ipotesi (come quella al suo esame) in cui, pur a fronte di una già intervenuta espulsione mediante accompagnamento alla frontiera da parte degli organi di polizia, il pubblico ministero abbia emesso il decreto di citazione diretta a giudizio – «non prevede che il giudice del dibattimento, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, pronunci sentenza di non doversi procedere nel caso in cui l’espulsione sia avvenuta prima dell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero».
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Reati paesaggistici – Zona sottoposta a vincolo paesaggistico e dichiarata di notevole interesse pubblico – Computo volumetrie e naturale sviluppo del manufatto – Interventi già in concreto realizzati – Criteri per la configurabilità del reato ex art. 181 comma 1 bis d.lgs. n. 42/2004 – Reati urbanistici – Art. 44 lett. C) d.P.R. n. 380/2001. In tema di tutela paesaggistica, i parametri dimensionali richiesti ai fini della configurabilità della fattispecie delittuosa di cui al comma 1 bis del d. Lgs. n. 42 del 2004, vanno ritenuti ragionevolmente integrati, considerando che il complessivo aumento delle volumetrie, nell’ottica della verifica del loro computo, deve essere riferito anche al naturale sviluppo del manufatto desumibile dalla tipologia degli interventi già in concreto realizzati, a prescindere dal definitivo completamento delle opere. In sintesi, a seguito della sentenza n. 56 del 2016, della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1 bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, rientrano oggi nell’art. 181, comma 1 bis, unicamente i lavori «che abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi» (Cfr. Cassazione Penale, Sez. III, del 04.02.2020 (Ud. 02/10/2019), Sentenza n.4697)