Ci sono momenti in cui la vita umana sembra passare in secondo piano rispetto agli interessi economici e politici delle Nazioni. Questo sembra essere accaduto con l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani. Guardando al fenomeno, stupisce e confonde la reazione dell’Iran, che, pur desideroso di cambiamento, oggi compiange chi, quel cambiamento, lo ha sempre osteggiato. Probabilmente, in un contesto dagli equilibri già delicati, il sentimento di lutto cela il timore per le ripercussioni dell’episodio sul piano sociale e politico. Gioca un ruolo non secondario la profonda avversione sempre mostrata nei confronti dell’opulento nemico occidentale. La bandiera rossa sulla moschea di Jamkaran, avvisaglia di una imminente battaglia, è forse uno degli emblemi più significativi della triste vicenda. La questione non lascia indifferente l’Italia. Si avverte la paura diffusa di vendette o ritorsioni che possano colpire anche il nostro Paese. Minacce sono già state lanciate in direzioni diverse. Ci si chiede se il Presidente Trump abbia agito nel modo giusto. Nel dichiarato, le ragioni dell’attacco starebbero nel sospetto, più o meno fondato, che fossero in cantiere attentati contro obiettivi americani, in risposta all’uccisione di miliziani filo-iraniani nei raid dei droni Usa. Quando mai il pericolo fosse fondato, resterebbe comunque da comprendere se non vi fossero altri utili strumenti di reazione. Fatto è che, in pochi giorni, l’episodio ha già aperto a una crisi visibile sia sul piano economico sia sul piano politico. Si pensi soltanto all’aumento vertiginoso del prezzo del greggio (che ha superato i 70,00 dollari al barile) e dell’oro (che tocca i massimi dal 2013). La situazione arricchisce pochi e mette in difficoltà i tanti piccoli risparmiatori. Non secondario, lo strappo sul nucleare. In contromossa, Teheran annuncia un’ulteriore riduzione degli obblighi assunti con l’Intesa nucleare del 2015, riservandosi di rendere operativo un numero illimitato di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Non manca, poi, chi paventa lo scenario apocalittico di una terza guerra mondiale. Per vero, uno studio meno allarmistico rasserena almeno sotto questo profilo. Il quadro delle relazioni politiche internazionali è profondamente diverso da quello che si poneva a preludio del secondo conflitto. Le attuali potenze armate non sembrano realmente interessate ad uno sconto di tale portata. La politica cinese non è mai stata incline all’uso della forza nei confronti di altri Paesi; atteggiamento determinante nel senso di ostacolare il c.d. bi-polarismo tra Usa e Russia, entrambe in ottimi rapporti con moltissimi Paesi. In più, v’è che Germania, Italia e Giappone non trarrebbero alcun beneficio economico dallo scontro. A spostare l’ago della bilancia potrebbe essere, piuttosto, la scelta strategica della Turchia. Quale che sia la reale prospettiva per il futuro, lo scenario attuale sembra segnato da un radicato e diffuso sentimento di odio. Meritocrazia Italia invita i leader mondiali a una maggiore consapevolezza del proprio ruolo, che impone la responsabilità di un dialogo costruttivo verso il recupero di rapporti di pace.
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