PADRI SEPARATI E DISPERATI: IL TEMPO E’ FONDAMENTALE NELLE RELAZIONI FAMILIARI

PADRI SEPARATI E DISPERATI: Il tempo ha conseguenze irreparabili nelle relazioni familiari. Di conseguenza,  viola l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, se le autorità nazionali non adottano misure adeguate per sanzionare la mancata cooperazione di un genitore che impedisce all’altro una relazione affettiva con il figlio. E’ la CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo)  a stabilirlo con la sentenza depositata il 4 maggio scorso (ricorso n. 66396/14, visita) che è costata una nuova condanna all’Italia per violazione dell’articolo 8 (L’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dispone: « 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza … omissis… E’attinente all’ambito della “vita privata”, la determinazione dei diritti residui (es. di visita, di informazione) del genitore), a causa di un mix di misure inadeguate e ritardi. A rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  è  un padre napoletano che aveva cercato inutilmente di ottenere un ampliamento del proprio diritto di visita alla figlia, rivolgendosi al Tribunale di Napoli, dal quale ha ottenuto una risposta con notevole ritardo. Nel 2013, poi, il Tribunale per i minorenni aveva deciso l’affido condiviso con la collocazione della minore  presso la madre, regolando le visite con il padre. Il ricorrente aveva chiesto un ampliamento dei periodi, ma la Corte di appello aveva confermato la decisione dei giudici di primo grado. Ma il padre della minore, non condividendo le decisioni dei giudici italiani, ha deciso  di rivolgersi alla CEDU che gli ha dato ragione. Nel ricorso aveva lamentato di avere subìto una violazione del diritto al rispetto della vita familiare. Ritiene che i giudici nazionali non abbiano rispettato né garantito concretamente il suo diritto di visita. Infatti, lamenta che il suo rapporto con la figlia è stato irrimediabilmente compromesso a causa di difficoltà incontrate nell’esercizio del suo diritto di visita nelle prime fasi della vita di sua figlia. Sostenendo anche che la mancanza di celerità della procedura controversa ha costituito una ingerenza eccessiva e arbitraria nei rapporti con sua figlia, Invocando la violazione dell’articolo 8 della CEDU. I giudici della CEDU hanno accolto le rimostranze del ricorrente, stabilendo che le autorità italiane non hanno salvaguardato il diritto alla vita familiare del padre, minando il rapporto padre/figlia, anche a causa dei troppi ritardi che hanno caratterizzato l’intero procedimento. Sul punto la Corte è chiara: è evidente che un ritardo nella procedura rischia di far diventare “fatto compiuto” il problema in discussione, mentre è necessario che le relazioni familiari tra genitori e figli siano regolate sulla base dell’insieme degli elementi pertinenti e non sul fattore tempo. Nel caso in esame, la Corte osserva che il padre non ha potuto vedere liberamente la figlia dal 2010 e le giurisdizioni interne, durante i 12 mesi di durata del procedimento, “hanno tollerato che la madre regolasse in modo unilaterale le modalità del diritto di visita del ricorrente”. Osserva la Corte – nell’adozione delle decisioni che riguardano l’articolo 8. “il decorso del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra la bambina e il padre”. “Era necessaria una maggiore diligenza e rapidità nell’adottare una decisione che riguardava i diritti garantiti dall’articolo 8 della Convenzione. Considerata la posta in gioco per il ricorrente, il procedimento richiedeva di essere trattato con urgenza in quanto il trascorrere del tempo poteva avere conseguenze irrimediabili per le relazioni tra la figlia e suo padre, che non conviveva con lei…”. Un ritardo ingiustificato e contrario alla Convenzione, che è costato all’Italia una condanna e l’obbligo di corrispondere al padre 3mila euro per i danni non patrimoniali e 12mila per le spese.  E’ di questi giorni la notizia di  un padre che nel 2006, dopo la separazione dalla moglie, si rivolgeva al Tribunale di Milano per chiedere d’urgenza l’affidamento condiviso del figlio e una regolamentazione del proprio «diritto di visita» del bambino. Il piccolo, all’epoca, aveva 6 anni: ma la decisione del Tribunale per i minorenni (il «decreto definitivo») è arrivata soltanto nel 2017, quando il bambino era diventato quasi maggiorenne!

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Redazione

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