La situazione del precariato scolastico in Italia è una questione alquanto complessa ed intricata. Per comprendere meglio la dimensione di questo fenomeno, prendiamo come dato di riferimento le cattedre scoperte nell’anno 2019/2020 che sono state circa 200 mila. Il precariato, dunque, è un fenomeno che è in continua crescita ed attualmente interessa circa il 20% del corpo scolastico in servizio, ovvero circa 1 docente su 5. Ma come si è giunti a questa situazione? Ciò è dovuto all’incapacità di programmazione del Miur ed a un sistema di immissioni in ruolo farraginoso, il quale prevede per metà assunzioni stabili dalle graduatorie ad esaurimento e per il 50% dai concorsi. Molte classi di concorso delle graduatorie ad esaurimento sono esaurite. Si ipotizza che resteranno vuote per assenza di candidati. Le situazioni più critiche sono al Centro-Nord. I docenti precari sono assunti su posti vacanti con contratti a termine a cadenza annuale (30 giugno / 31 agosto) che vengono reiterati anche oltre i tre anni di servizio. Requisito indispensabile per esercitare la professione di docente è il possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento. Tuttavia la maggior parte dei docenti chiamati a ricoprire tali nomine è sprovvista del suddetto titolo. Questo perché il MIUR, da molti anni, non consente agli aspiranti docenti di abilitarsi alla professione mediante percorsi ad hoc a cadenza regolare. Non essendoci abbastanza docenti abilitati, le stesse scuole paritarie sono costrette ad assumere docenti non abilitati per poter esercitare le loro funzioni educative, legittimando una prassi contraria alla normativa vigente. Dunque da un lato il MIUR si serve ogni anno di questi lavoratori che ricoprono a tutti gli effetti le stesse funzioni dei docenti di ruolo; dall’altro non c’è la volontà di stabilizzare il loro rapporto di lavoro pur essendoci posti disponibili. Ogni anno, in base alle nuove iscrizioni ed alle classi che si vanno a formare, si definisce il numero di cattedre necessarie a garantire agli studenti il diritto allo studio. Queste cattedre costituiscono il contingente delle necessità di fatto, le cosiddette cattedre di fatto, appunto. Le cattedre di diritto sono invece quelle individuate, conteggiate ed avallate dal Mef. Esse sono messe nel bilancio preventivo dello Stato, quelle per le quali o si concedono in ruolo a tempo indeterminato oppure a supplenza al 31 agosto. Proprio qui sta il punto, sebbene le cattedre di fatto sono essenzialmente sempre le stesse ma non preventivate dal Miur né dal Mef in bilancio, allora non si assegnano per i ruoli. In pratica lo Stato non le mette a bilancio preventivo ma solo a consuntivo. Conviene quindi non autorizzare la trasformazione delle cattedre di fatto in quelle di diritto per un mero artificio contabile ai danni dei lavoratori. Prima di bandire nuovi concorsi, bisognerebbe stabilizzare il personale docente in servizio presente nelle Graduatorie ad esaurimento ed i vincitori del concorso 2016 e 2018 che ancora non hanno ricevuto il ruolo. Inoltre bisognerebbe valorizzare l’esperienza del personale non abilitato attualmente in servizio da 3 anni e più, attraverso la formazione e successiva stabilizzazione. L’associazione nazionale docenti per i diritti dei lavoratori (ANDDL) propone una soluzione valida, che prevede un percorso formativo attivo (PFA) riservato ai docenti precari con almeno 36 mesi di servizio. Ovvero un corso/concorso abilitante e formativo della durata di tre mesi, al quale si accede per titoli e servizi prestati (l’Unione europea condanna le lungaggini dei vecchi percorsi di abilitazione del nostro sistema scolastico). Questo PFA è tenuto presso la scuola sede di lavoro del docente o della provincia della graduatoria di istituto dove il candidato risulta iscritto. Terminata la formazione il candidato verrebbe iscritto nella graduatoria dei 36 mesi di servizio (G36). I docenti andranno in ruolo a scorrimento in base al punteggio ottenuto durante il percorso formativo, dopo l’anno di prova e dopo l’esaurimento delle attuali GRM e delle GAE. Con il decreto salvaprecari, battezzato dai precari stessi con il termine “ammazzaprecari”, approvato nel mese di dicembre 2019, lo Stato non è riuscito a risolvere il problema del precariato storico. Ovvero sono stati previsti due concorsi da bandire contestualmente: uno straordinario abilitante per il personale con 3 anni di servizio da immettere in ruolo già a partire da settembre 2020 ed uno ordinario per i neolaureati, che dovrebbe portare in ruolo gli aspiranti docenti in non meno di 2/3 anni. Il concorso straordinario prevede una prova scritta computer-based ed una prova orale entrambe selettive. I primi 24 mila saranno assunti, il resto potrà ottenere l’abilitazione solo se supererà il test con un punteggio di 7 su 10, superiore alla sufficienza. Il concorso ordinario invece prevede tre prove, due scritte ed una orale, al termine delle quali verranno assunti altri 24 mila docenti se avranno raggiunto il punteggio di 7 su 10 in tutte le prove. Dunque è chiaro che i numeri sono irrisori e non sufficienti a risolvere il problema del precariato poiché con quota cento andranno in pensione già dal prossimo anno circa 50 mila docenti e nei prossimi dieci anni il 50% del personale attualmente in servizio. Si tratta di un sistema di reclutamento obsoleto ed inadeguato alle attuali esigenze della scuola, oltreché un’offesa ai lavoratori precari di III fascia con anni e anni di esperienza che rischiano addirittura di perdere il loro posto di lavoro se non dovessero riuscire ad abilitarsi alla lotteria delle crocette perché scavalcati dai neolaureati che si abiliteranno con il concorso ordinario. Il MIUR mostra ancora una volta scarsa considerazione verso questa categoria di docenti che da moltissimi anni rende possibile l’apertura annuale delle scuole, violando la normativa europea (direttiva 1999/70/CE). Tale direttiva obbliga lo Stato a provvedere immediatamente, con specifica normativa alla stabilizzazione di tutti i precari con più di 36 mesi di servizio. La Commissione Ue ha aperto procedure di infrazione contro lo stato italiano per abuso di precariato. Ebbene, dunque attenersi a quanto previsto dalla normativa europea e porre fine all’infinito abuso di precariato e tutelando il sacrosanto diritto al lavoro sancito dall’art. 4 della Costituzione.