Fino al 1999, al di là del riferimento di cui ai CCNL (contratti collettivi nazionali di lavoro) e legislazione nazionale di riferimento – salvo condizioni più favorevoli a mezzo contrattazione collettiva, sentenze, ecc. – l’orario massimo di lavoro consentito a bordo delle navi veniva regolato dalla convenzione Oil (I.L.O.) n. 109 (art. 13) “Convenzione concernente i salari, la durata del lavoro a bordo e gli effettivi” e di cui alla Legge di ratifica ed esecuzione n. 157 del 10.04.1981. Detta Convenzione fissava un tetto massimo di lavoro di 24 ore nelle 48. La crescente consapevolezza degli organismi comunitari ed internazionali sul tema dovuta al fatto che la modalità di organizzazione del tempo di lavoro a bordo, agendo sul livello di fatica del marittimo, influisce in modo determinante sul c.d. fattore umano e causa di incidenza massima sui sinistri marittimi e sullo stato di benessere sei lavoratori marittimi, ha prodotto una serie di convenzioni e direttive comunitarie e internazionali a Voi ben note: dapprima col Decreto legislativo n. 626 del 1994 e succ. mod. ancorchè ininfluente nel campo marittimo e, successivamente, con il fatidico Dlgs. 271/99 il quale, finalmente, fissava (art. 11, comma 4) l’orario di lavoro e di riposo, così come segue. “L’’orario di lavoro o di quello di riposo a bordo delle navi sono cosi’ stabiliti: il numero massimo di lavoro non deve superare le 14 ore in un periodo di 24 ore, 72 ore in un periodo di 7 giorni, ovvero il numero minimo delle ore di riposo non deve essere inferiore alle 10 ore nelle 24 e 77 ore per un periodo di sette giorni”. Il medesimo art. 11 del Decreto legislativo n. 271 del 99 al comma 8 prevede delle deroghe così articolate: “per le navi impiegate in viaggi di breve durata e per le particolari tipologie di navi impiegate in servizi portuali, la contrattazione collettiva potra’ derogare a quanto previsto nei commi 4 e 5, tenendo conto di periodi di riposo piu’ frequenti o piu’ lunghi oppure della concessione di riposi compensativi ai marittimi impiegati nel servizio di guardia o ai marittimi che operano a bordo”. Ad ogni modo, a supporto della tesi dello scrivente sulla validità del contenuto della convenzione OIL 133, giova qui ricordare cosa prevede l’ordinamento del diritto italiano in tema di analogia legis, ovvero nel caso in cui altre norme giuridiche regolamentino casi simili o materie analoghe, così come previsto dal comma 2 dell’art. 12 delle Preleggi: “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. Ora, è indubbio che oltre alla Raccomandazione IMO A 468, nell’ordinamento del diritto italiano è possibile riscontrare ampie “analogie del diritto”. Infatti, giova appena ricordare quanto segue:
- la Convenzione OIL n° 133, con Legge 10 aprile 1981 n° 158 è diventata “Legge ordinaria dello Stato” ed in quanto tale tutti sono tenuti ad applicarla e rispettarla; oltretutto, suddetta Convenzione OIL 133 è altresì entrata in vigore il 27.08.1991 per sopraggiunto numero di adesioni degli Stati Firmatari, tra cui l’Italia;
- la convenzione ILO 180 sull’orario di lavoro, essendo ormai “trasfusa” nella direttiva 1999/63/CE, è diventata vincolante per il nostro Paese attraverso il Decreto legislativo n. 108 del 2005 di attuazione appunto della direttiva 1999/63/CE. Ciò posto, si deve ricordare che le norme europee che disciplinano i limiti sull’orario di lavoro producono un effetto diretto sul diritto interno, con il conseguente obbligo,per i giudizi nazionali, di disapplicare qualunque norma interna con esse contrastanti.
Alla luce di quanto sopra, intaccando i diritti soggettivi inalienabili dei lavoratori e violando la riserva di Legge dello Stato di cui all’art. 36 della Costituzione – “La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge” L’incidentalità nella navigazione marittima non è mai stata, nel nostro Paese, analizzata in misura paragonabile alla dovizia di analisi e informazioni relative al fenomeno dell’incidentalità stradale, fatto probabilmente dovuto alla maggiore rilevanza in termini di merci/passeggeri trasportati, che di numero di vittime di quest’ultimo fenomeno. Questo fatto non trova però giustificazioni se si considera che, essendo l’Italia una penisola, la navigazione in mare interessa, per lavoro una quota rilevante della popolazione.La presente considerazione si prefigge lo scopo di esaminare il fenomeno dell’incidentalità marittima, offrendo una sistemazione delle basi teoriche e della normativa attualmente in vigore nel settore delle indagini sugli incidenti, e in particolare di quelli marittimi, e proseguendo poi con l’analisi dei dati relativi agli incidenti in cui sono state coinvolte delle unità navali battenti bandiera italiana, o comunque relativi a sinistri avvenuti nelle acque nazionali o in quelle ad esse limitrofe. Infine, il lavoro a turni, soprattutto se comprende turni notturni (con solo due turni sulle 24 ore), rappresenta una condizione di stress per l’organismo, in quanto, superano le otto ore di lavoro giornaliere e va a sconvolgere il normale ritmo del ciclo sonno/veglia inducendo cambiamenti nella normale variabilità circadiana delle funzioni biologiche, specialmente per il Comandante che è il responsabile della sicurezza della navigazione e della vita umana in mare. Da tutto ciò il decreto legislativo n. 271 del 99 per insufficiente controllo nelle visite periodiche degli ambienti di lavoro: “visita gli ambienti di lavoro almeno due volte e partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori marittimi”. Infatti, atteso le sue competenze scientifico-professionale, oltre a collaborare con il datore di lavoro nella individuazione dei rischi presenti in ogni singola attività produttiva, il Medico Competente è tenuto anche a dare indirizzo nella scelta di metodi organizzativi, di tempo e di luogo di lavoro in sicurezza. Ne deriva che al “Medico Competente” non poteva e non doveva sfuggire l’incidenza di una così dilatata ampiezza dell’arco lavorativo e cui era ed è sottoposto il personale navigante., emergono anche le responsabilità del Medico Competente. I metodi di indagine sui sinistri marittimi attualmente adottati in Italia, anche alla luce degli studi nel settore dell’investigazione sugli incidenti, è stato accertato che le cause degli incidenti vengono stabilite dagli Organi delle Capitanerie di Porto, cioè dagli stessi che hanno rilasciato i Certificati di Sicurezza alla nave. In poche parole l’Organo di controllo “la Capitaneria”, dopo aver rilasciato i Certificati di Sicurezza alla nave, all’atto del sinistro diventa anche organo “Giudicante”!!!È bene precisare che la genesi dell’evento incidentale di un sinistro marittimo può nascere anche da un problema di sicurezza, che può essere riconducibile ad alcune leggerezze da parte dell’Ente di classifica e della Capitaneria all’atto delle visite per il rinnovo dei Certificati di Sicurezza. Tutto ciò può essere dimostrabile dall’acquisizione di un verbale di visita per il rinnovo dei seguenti Certificati di Sicurezza: Visita ai Servizi di bordo – rilascio Certificato di Sicurezza d.lgs n.28/2001 – rilascio Certificato di Sicurezza n. 45/2000 – rinnovo Certificato di Sicurezza MSC – rinnovo Certificato di Tecnica Sanitaria – ect.. Infatti, al termine delle visite, l’Autorità Marittima annota sul Verbale di Visita tutte le prescrizioni e irregolarità, riscontrate. Al termine della visita L’Ufficiale accertatore della Capitaneria, anziché fermare la nave, stabilisce a suo piacimento che le dette irregolarità debbono essere eliminate entro 10 giorni, 1 mese, ect.. Infatti, trascorsi i giorni stabiliti, l’Autorità Marittima, anziché eseguire un’altra visita, si accontenta di un semplice estratto giornale nautico libro secondo da parte del Comandante della nave per l’eliminazione delle prescrizioni e/o irregolarità !!!! In un incidente marittimo la fase importate è quella di stabilire il “fattore causale” dell’incidente: un evento o condizione contenuto nella sequenza dell’incidente è necessario e sufficiente alla genesi dell’incidente stesso. il fattore causale può essere classificato in tre categorie: fattore causale diretto, fattore causale contributivo e fattore causale basilare (mancato funzionamento delle porte tagliafuoco – mancato funzionamento apertura/chiusura delle serrande – mancato funzionamento del salpancora – mancato funzionamento del sistema di ammaino delle lance e/o “Rescue fast boat” – mancato funzionamento dei tonneggi per recupero dei cavi – mancata segnalazione IMO – mancato aggiornamento del Ruolo di Appello – Tabelle di sicurezza ridotte – ect).Le Capitanerie di Porto, sono stati i promotori di questo sistema (Organo Vigilante – “Giudicante”).A tal proposito, è stato dimostrato che gli incidenti possono avere diversi fattori causali, e che possono esistere delle cause sotterranee (mancati accertamenti e/o favoreggiamento all’atto delle visite per il rinnovo dei Certificati di Sicurezza) anche distanti dallo scenario dell’evento incidentale. Una appropriata identificazione di tali cause richiede una indagine rapida e metodica (non eseguita dall’Organo vigilante), che sappia andare al di là dell’immediata evidenza e sappia andare alla ricerca delle condizioni occulte che possono causare ancora in seguito degli incidenti futuri. L’indagine dell’evento incidentale dovrebbe perciò essere vista come un mezzo per identificare non solo le cause immediate, ma anche i fallimenti nell’amministrazione complessiva del lavoro dalla legislazione alla sua attuazione. Per questo motivo le indagini dovrebbero essere abbastanza allargate da rispondere a questi principi prevalenti. A tutto questo deve essere aggiunto il mancato rispetto dell’orario di lavoro dell’equipaggio (vedi verbale tecnica Sanitaria: Organo vigilante cieco).Del mancato rispetto dell’orario di lavoro ( che può essere la concausa dell’incidente), coinvolge anche il Comandante della nave. L’analisi proattiva del processo è suddivisa in quattro fasi principali: 1) analisi delle attività, attraverso le descrizione delle varie fasi che compongono il processo lavorativo; 2) individuazione delle situazioni di pericolo e delle criticità, attraverso: l’analisi delle singole attività, l’individuazione di situazioni di pericolo che possano innescare errori dovuto all’eccessivo lavoro, l’individuazione delle possibilità di errore con il relativo conseguente scenario; 3) quantificazione della probabilità che avvenga l’incidente, dovuto alla leggerezza dell’Organo vigilante all’atto della visita per il rinnovo del Certificato di Sicurezza; 4) valutazione e ammissibilità del rischio da parte dell’Armatore (Risk assessment e Risk management). Un altra pecca sono le Tabelle Minime di sicurezza provvisorie che per tutta la durata dell’esercito della nave rimangono sempre tale “Provvisoria”. Ciò significa personale ridotto. oppure tabella minima definitiva . Dette tabelle non consentono ne l’ordinaria gestione della nave e relativi servizi e ne la gestione dei mezzi di salvataggio in dotazione, nella fase di “abbandono nave”. In forza di quanto sopra esposto appare in tutta la sua evidenza che il successo nell’affrontare le emergenze è legato a tre parametri essenziali, ovvero quello teorico, il fattore umano e l’esigenza che l’equipaggio della nave sia numericamente sufficiente e qualitativamente idoneo ad assolvere secondo le prescrizioni. ed inoltre, durante l’emergenza i membre dell’equipaggio devono avere un solo compito e no due compiti come riportato sui ruoli d’appello: Detti comportamenti sono improponibili ed inoltre,mettono in serio rischio la riuscita dell’emergenza. Da un pò di anni le navi passeggeri che ormeggiano nei porti degli Stati Uniti l’ Autorità Americana pretende che in caso di emergenza ogni membro dell’equipaggio deve avere un solo compito. Il comportamento da parte dell’Ente che rilascia la Tabella di sicurezza con un numero non sufficiente di equipaggio, costituisce grave inadempienza, i cui rischi si ripercuotono sulla sicurezza della navigazione e della vita umana in mare. Infatti, il responsabile dell’Ente preposto , nel momento in cui ha approvato una tabella minima di sicurezza, si è assunto il rischio legato alla probabilità del verificarsi di un evento imprudente e dannoso. Nella tale ipotesi ne deriva una sua diretta responsabilità. Inoltre, le tabelle minime di sicurezza di che trattasi non sono mai state neanche confrontata dalla riuscita di una verifica operativa a bordo, con simulazione delle emergenze possibili e gestione dei mezzi di salvataggio e con a bordo un certo numero di persone extra equipaggio, atte a simulare la presenza di passeggeri a bordo. Parimente, non si è tenuto conto che l’emergenza, da locale e circoscritta inizialmente, può implicare una o più delle seguenti ulteriori emergenze e necessità di relative squadre di intervento/ soccorso e che, per esiguità di spazio, non sono state compiutamente analizzate: incendio a bordo, inquinamento del mare, uomo in mare, collisione e falla, incaglio, fino a finire nella più tragica dell’abbandono nave le cui fasi d’intervento, sono ampiamente regolate da leggi e Regolamenti. Di conseguenza, poichè il numero e la preparazione dei componenti l’equipaggio risulta determinante nel fronteggiare le varie emergenze- che potrebbero verificarsi in contemporanea tra loro- non a caso le normative prevedono la dislocazione strategica di un certo numero di persone in posti chiave, senza duplicazione e triplicazione di compiti. In forza di quanto sopra esposto appare in tutta la sua evidenza che il successo nell’affrontare le emergenze è legato a tre parametri essenziali, ovvero quello teorico, il fattore umano e l’esigenza che l’equipaggio della nave sia numericamente sufficiente e qualitativamente idoneo ad assolvere secondo le prescrizioni.