ASSICURAZIONI: VESSATORIA CLAUSOLA CHE ESCLUDE DA CONTRATTO GUIDA STATO DI EBBREZZA di Giulia De GIORGI

Nota alla sentenza della cassazione 3^ sezione civile del 09.07.2019 n. 18324

Fatto:  La ricorrente, compagnia assicurativa, risultante soccombente in entrambi i precedenti gradi di giudizio, presentava ricorso innanzi alla Corte di Cassazione al fine di ottenere, dal proprio assicurato, «il pagamento della somma di € 312.909,91 oltre interessi e rivalutazione», a seguito del risarcimento danni erogato al terzo a seguito di sinistro stradale, causato da guida in stato di ebbrezza; com’è dato leggere nel primo ricorso, tale pretesa trovava fondamento giuridico nell’esercizio del diritto di rivalsa, di cui la compagnia assumeva di essere titolare, in conseguenza di una clausola che escludeva dall’oggetto del contratto di assicurazione la guida in stato di ebbrezza. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in virtù della vessatorieta della clausola che escludeva la guida in stato di ebbrezza dall’ oggetto del contratto; quest’ultima circostanza risulterebbe dalla sottoscrizione, da parte dell’assicurato, di una clausola contenente una «copertura massima, cd. “super”, formula nella quale rientrava innanzitutto la rinuncia, da parte della compagnia, all’azione di rivalsa». La vessatorietà della clausola e i contratti per adesione: Nel caso a quo, le ragioni che hanno condotto i giudici di merito a ritenere inesistente il preteso diritto di rivalsa si addensano intorno alla natura vessatoria[1] della clausola contrattuale, escludente la guida in stato di ebrezza dall’oggetto del contratto. Stando alle motivazioni del Tribunale, poi confermate anche in appello, la presente clausola doveva ritenersi nulla, sia in virtù di profili formali (sottoscrizione per adesione) che per quelli dal tenore sostanziale (limitazione della responsabilità dell’assicurazione): a) per quanto concerne il primo punto, gli Organi Giudicanti hanno ritenuto che la stipulazione di tale clausola sia avvenuta con modalità pressoché automatiche, in assenza di una «compiuta e sufficiente ponderazione» del contenuto da parte del consumatore[2]. Secondo un orientamento giurisprudenziale[3], ormai consolidato, un contratto viene definito per adesione allorquando risulti predisposto da un contraente sottoforma di schema standardizzato[4], destinato ad essere utilizzato in plurimi rapporti, «sì da escludere una sua formazione in esito a[d una specifica] trattativa negoziale»[5]; b) sotto il secondo aspetto, invece, è necessario evidenziare che si tratta di una clausola limitativa della responsabilità (della compagnia ricorrente), la quale, altrimenti, avrebbe operato «a seguito di precetti normativi»[6]. In applicazione della nullità c.d. di protezione, a norma dell’art. 36 del Codice del Consumo (d.lgs n. 206 del 2005), «le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto». Su un piano strettamente processuale, siffatta patologia del negozio giuridico si connota per la presenza di due profili, entrambi convergenti sul concetto di parzialità e relatività[7]:  1. dei soggetti (c.d. legittimazione riservata), che si pone in deroga al riconoscimento di una legittimazione generica all’azione di nullità ex art. 1421 c.c.[8]; 2. dell’ambito di applicazione, «in quanto di regola la nullità della singola clausola non si estende all’intero contratto»[9].

L’ambiguità e il conflitto tra clausole contrattuali

L’ambiguità del caso in esame ruota intorno ad una sovrapposizione logico-testuale delle clausole, superata in via ermeneutica dalla Corte d’Appello; sul punto, non a caso la Corte di Cassazione, avallando l’interpretazione contra stipulatorem formulata dal giudice territoriale, sottolinea l’equivocità delle suddette clausole che, se da un lato massimizzavano la copertura assicurativa (mediante la previsione c.d. “super”, ritenuta inclusiva della rinuncia, da parte della compagnia, all’azione di rivalsa); dall’altro invece prevedevano delle limitazioni alla rinuncia, che erano difficilmente percepibili dal consumatore che si avvalesse della normale diligenza. L’elemento, altresì, degno di nota consiste nella coincidenza che tali restrizioni venissero contenute proprio nelle «clausole predisposte unilateralmente dalla compagnia e sottoscritte per adesione dal consumatore».

Il criterio di interpretazione ex art. 1370 c.c.

In presenza di una tale discordanza tra clausole contrattuali, la Suprema Corte non poteva che suggellare il criterio interpretativo, in precedenza utilizzato dai Giudici di merito, ex art. 1370 c.c. (“Interpretazione contro l’autore della clausola”). Nello specifico, si tratta di un parametro di cui l’interprete si avvale in costanza di clausole contrattuali polisenso, rivestendo inoltre una funzione sociale in pendenza di contratti asimmetrici. Difatti, l’orientamento dottrinale maggioritario converge verso un utilizzo di default del criterio contra stipulatorem; quest’ultimo non soltanto è ritenuto funzionale all’erogazione di una «tutela del contraente economicamente meno attrezzato»[10], ma viene anche definito come nevralgico strumento per controbilanciarne «la sottoposizione a clausole sfavorevoli, inserite in un contratto alla cui predisposizione non ha partecipato»[11]. Per concludere, non possono non citarsi i limiti applicativi dell’art. 1370 c.c.: pertanto, come ritenuto da una parte della giurisprudenza, il ricorso a tale regola interpretativa si rivela superfluo allorquando «il giudice di merito fonda la sua interpretazione sulla comune intenzione delle parti, quest’ultima desunta dal comportamento delle medesime e ritenuta sufficiente a dissipare eventuali dubbi sul contenuto della clausola»[12].

[1] Sull’onerosità delle clausole vessatorie, cfr. V. Roppo, Il contratto, Milano, Giuffrè, 2011, p. 907, secondo cui tratto comune delle clausole ex art. 1341, comma 2, c.c. risiede nell’aggravamento della posizione contrattuale dell’aderente, che lo privano «di diritti o poteri che egli avrebbe in base alla disciplina comune del rapporto contrattuale», oppure gli accollano «obblighi o soggezioni che in base a quella disciplina egli non avrebbe».

[2] Le problematiche connesse ad una espressa manifestazione del consenso dei contraenti si acuiscono in sede di stipulazione di contratti per via telematica. Per un approfondimento sulla conclusione dei point and click contracts, cfr. D. Lamanna Di Salvo, La tutela del consumatore nell’ordinamento italiano tra strumenti privatistici e pubblicistici, in Giurisprudenza di merito, 2013, n. 12, p. 2692.

[3] Cass. civ., Sez. II, 21 aprile 1988, n. 3091, in Mass. Foro it, 1988, n. 461: «è risaputo che l’ipotesi contemplata dall’art. 1341 c.c. è caratterizzata dalla predisposizione di uno schema contrattuale da parte di uno contraenti che, uniformando la disciplina dei suoi rapporti con altri soggetti ad un modello prefissato, mette di volta in volta l’altro eventuale contraente dinanzi all’alternativa di accettare in blocco o di rifiutare, senza alcuna trattativa, il complesso delle clausole predisposto».

[4] Sulla contrattazione standardizzata, cfr. E. Guerinoni, I contratti del consumatore: principi e regole, Torino, Giappichelli, 2011.

[5] G. Pescatore – C. Ruperto, Codice civile annotato con la giurisprudenza della Corte costituzionale, della Corte di Cassazione e delle giurisdizioni amministrative superiori, Milano, Giuffrè, tomo I, 2005, p. 1962.

[6] Cass. civ., Sez. II, 7 febbraio 2003, n. 1833, in Mass. Giust. civ., 2003, p. 281.

[7] S. Pagliantini, L’azione di nullità tra legittimazione ed interesse, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, p. 407.

[8] Contra, un indirizzo giurisprudenziale ha tentato di circoscrivere il perimetro di legittimazione mediante la previsione   di un onus probandi a carico dell’attore: allorquando il soggetto che propone la relativa azione non dimostra «la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire», subirà una preclusione in termini di accesso alla giustizia, nella misura in cui «l’azione stessa non è proponibile», sul punto, cfr. Cass. civ., Sez. I, 23 novembre 2007, n. 24423, Cass. civ., Sez. II, 4 dicembre 2007, n. 26359.

[9] L. Felleti, Commento a Cass. civ., 13 ottobre 2011, n. 21202 e Cass. civ., 20 luglio 2011, n. 15892 (ord.), in Resp. civ. e prev., p. 504.

[10] E. F. Carbonetti, La formazione ed il perfezionamento del contratto, in R. Cavallo Borgia (a cura di), Responsabilità e assicurazione, Milano, Giuffrè, 2004, p. 85.

[11] L. Bugiolacchi, Massimario delle assicurazioni e della circolazione stradale, in Resp. civ. e prev., 2008, n. 7/8, p. 1650.

[12] Cass. civ., Sez. Lav., 13 febbraio 1980, n. 1028. (Fonte: dirittodelrisparmio.it)

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