DIRITTO AL SOSTEGNO PSICOLOGICO E AL CONGEDO PARENTALE di Rosa Jessica VITAGLIANO

PER LE COPPIE CHE HANNO SUBITO UN LUTTO A SEGUITO DI UN ABORTO SPONTANEO O DI UNA MORTE PERINATALE.

Maria e Stefano sono genitori speciali che non hanno potuto realizzare un loro grande sogno: quello di avere un figlio. Maria: «Volevamo un figlio. Ci abbiamo provato tanto. Avevamo tutto, una bella casa, due bei lavori, ma ci sentivamo incompleti. A cosa serve tutto questo amore se non puoi regalarlo a nessuno? Ci rivolgemmo ad uno specialista e, con il suo aiuto, dopo sei mesi ero incinta. Non vi dico la nostra gioia, stavamo realizzando il nostro più grande desiderio! Seguirono mille progetti, iniziammo a fantasticare… Tutta questa felicità, dopo qualche mese fu stroncata da una frase pronunciata dal mio ginecologo. In una visita di routine, durante un’ecografia mi disse: “Mi dispiace signora, non c’è più battito.” Mi sentii sprofondare. Guardavo il profilo bianco sullo schermo nero e grigio dell’ecografo e pensavo : “è ancora il “mio” bimbo, è ancora dove volevo che fosse, cioè nella “mia” pancia, ma “io” non sono più la sua culla perché lui è improvvisamente morto e non posso farci nulla. Così non crescerà, non farà sentire i suoi calcetti, non verrà al mondo, non potrà stare tra le mie braccia e tenermi sveglia la notte, non potrò coccolarlo e dargli tutto l’amore che avrei voluto, eppure è e resterà mio figlio.” Seguirono momenti di grande sconforto e, nonostante ci riprovammo non ho mai visto realizzato il mio grande sogno, quello di sentirmi chiamare : “ Mamma”.» Elena, 46 anni, ha smesso già da tempo di inseguire uno dei suoi più grandi desideri, quello di dare un fratellino/sorellina alla sua piccola di nome Giulia. Elena: «Rimasi incinta della mia Giulia all’età di 37 anni, gravidanza arrivata subito, al secondo mese di tentativi, senza problemi e complicazioni. Dopo due anni decisi di dare un fratellino o sorellina a mia figlia. Credevo ci sarei riuscita subito, e infatti così successe…al secondo tentativo rimasi incinta all’età di 40 anni. Ero felicissima, al settimo cielo! Arrivai alla decima settimana e feci il test prenatale per verificare se il feto fosse sano. Purtroppo il risultato non fu confortante: il feto era un maschietto affetto da diverse malformazioni. Vi lascio immaginare le lacrime e la disperazione di quei giorni. Decisi con strazio e dolore di abortire…un dolore immane…La morte di un figlio tanto desiderato era avvenuta per mano mia. Seguirono lacrime e momenti di grande sconforto. Con forza e determinazione decisi di riprendermi, il desiderio di dare una sorellina/fratellino alla mia piccola Giulia era troppo grande. Iniziammo a riprovarci, ma purtroppo negli anni che seguirono rimasi altre tre volte incinta, tutte gravidanze non portate a termine a causa di qualche malformazione del feto.  Nonostante abbia rinunciato a rincorrere a tutti i costi questo sogno, ho delle ferite al cuore che non si chiuderanno mai. Ancora oggi sento ripetere nella mia mente quelle frasi : “Mi dispiace, purtroppo il feto ha una grave malformazione” oppure: “Mi dispiace signora, non c’è più battito”. Sono parole che una donna non vorrebbe mai sentir dire. È stata dura perché siamo mamme dal momento in cui scopriamo di aspettare un figlio e lo saremo per sempre. In qualsiasi periodo della gravidanza si perda il figlio, è sempre un dolore da superare. I sogni se ne vanno con la piccola vita che è volata via.  Sono tante, anzi troppe, le parole di “mancato conforto” che mi sono sentita rivolgere: “Vabbè pensa che hai già una figlia, ci sono persone che non hanno figli”. “Purtroppo dovevi aspettartelo hai più di quarant’anni.” Parole che mi hanno ferito terribilmente perché si sa che alcune uccidono più della spada. Parole che hanno suscitato in me sensi di colpa che ancora mi accompagnano, parole che mi hanno fatto sentire vecchia prima del tempo, parole che mi hanno resa insicura, parole che mi hanno fatto sentire donna a metà. Il dolore è immenso e totalizzante, è un dolore che porto dentro ed ogni volta che ci penso e guardo mia figlia che è alla continua ricerca di altri bimbi mi lacera. Sto lavorando tanto per cercare di superare tanta sofferenza, ma la strada è ancora lunga…una cosa è certa, anche se il nostro secondo figlio non è mai nato, so con certezza di avere quattro angioletti che vegliano su di noi.” Una donna che ha subito un aborto sa che, dopo quel maledetto “non c’è più battito” o “mi dispiace il feto è malformato”, alla mamma resta un carico d’amore che va gestito e vissuto. Col tempo la donna impara che è mamma malgrado l’aborto, malgrado abbia o non abbia altri figli, perché quel bambino perduto le è appartenuto anche solo per il poco tempo che lo ha portato con sé. Secondo le statistiche, la perdita del bambino nel corso della gravidanza, durante il parto o dopo la nascita, è un evento che colpisce una donna su sei. Molti parlano per sentito dire, di cose che spesso non conoscono o non comprendono, tant’è che l’elevata frequenza di questi avvenimenti ha condotto ad una loro “normalizzazione”. Infatti, nel sentire comune, l’aborto spontaneo e la morte perinatale vengono, spesso, visti come “non lutti”, e i bisogni psicologici dei genitori sono talvolta percepiti come “esagerazioni”. Perdere un bambino durante la gravidanza a causa di un aborto spontaneo o terapeutico o a causa di morte in utero, al parto, o nel periodo successivo alla nascita è un evento sconvolgente, traumatico. Non è infatti tanto l’epoca gestazionale nella quale la morte si è verificata a fare la differenza quanto l’intensità dell’investimento affettivo a rendere l’evento traumatico. Nonostante tutto, risulta essere ancora un argomento tabù in tutto il mondo, collegato a pregiudizi e sentimenti di colpa. Quando ciò accade, nella maggior parte dei casi le donne non ricevono cure appropriate e rispettose e non vengono aiutate a esprimere il loro dolore. Dopo la diagnosi di un aborto in atto o di una morte perinatale, molte donne riscontarono gravi problemi psicologici che spesso si protraggono anche a lungo termine.  Invero, recenti studi hanno riscontrato che, su un campione di 537 donne colpite da un aborto spontaneo, i sintomi di stress post traumatico sono presenti dopo un mese in quasi un terzo delle donne e, nel 20 per cento dei casi, anche nove mesi dopo l’aborto. Lo stesso studio mostra, inoltre, che le donne colpite da una perdita perinatale affrontano un vero e proprio stress post traumatico e possono andare incontro a problemi di ansia, sintomi di stress e depressione da moderata a grave. Allo stesso modo, però, i dati riportano che questi eventi creano importanti conseguenze anche sui padri, che accompagnano e vivono con la madre, anche se indirettamente, la stessa tragicità dell’accadimento. Un evento di questo tipo è da considerarsi un lutto a tutti gli effetti ed ha sulla vita di quei genitori un traumatico impatto perché risulta difficile da accettare. Il  lutto perinatale, incluso l’aborto spontaneo, ha le caratteristiche tipiche di tutti i lutti, e per essere elaborato va attraversato giorno dopo giorno. Ma è più facile a dirsi che a farsi, perché, mentre tutti affermano che “bisogna elaborare”, pochi si prendono la briga di raccontare cosa significhi davvero elaborare, spiegando come è fatto il lutto, quali sono le cose utili da sapere, quali le insidie che si corrono mentre lo si elabora. Questa superficialità purtroppo, alimenta il tabù intorno al lutto e i giudizi intorno alle strategie per elaborarlo. Il lutto ha una dimensione profondamente soggettiva: si piange l’oggetto d’amore perduto, la relazione che si è interrotta, i progetti che non avranno compimento. Si piange, a volte, per il senso di solitudine da cui ci si sente circondati. Per la fatica di dover spiegare che “non era solo un feto. Era un bambino, il mio. Era il bambino che aspettavo. Che aspettavo, ma…”. Come abbiamo detto, una donna su sei affronta quotidianamente una delle mille sfaccettature di questo lutto mentre è impegnata a fare accertamenti, a rientrare al lavoro, a crescere altri figli, a fare la spesa. Gran parte dell’impegno quotidiano, almeno all’inizio, è rivolto a tenere a bada il lutto, a non concedergli troppo spazio, ad evitare di mostrarsi triste alla vista di una donna incinta o sentendo il pianto di un neonato, o alla riunione della scuola materna dopo l’annuncio che è arrivato un fratellino. “La vita continua…devi sorridere ed essere forte, lo devi fare per le persone che ti vogliono bene, ”ci si sente dire, all’inizio non si riesce a credere che ci sia qualcosa al di là del dolore. Il lutto prende tutto lo spazio interiore e spesso anche quello esterno. Condiziona le scelte e i comportamenti anche quando ci si sforza di “riprendere in mano la propria vita”.   La salute mentale e riproduttiva dei genitori che vivono questi eventi drammatici va tutelata. La salute mentale è un diritto. L’OMS ha ormai da anni definito la “salute” come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non solo come “assenza di malattie e infermità fisiche.” Pertanto anche da un’attenta elaborazione dell’art. 32 della Carta Costituzionale si evince che l’obiettivo finale dell’ordinamento è la tutela del benessere psico-fisico, intesa in senso ampio, in essa infatti s’identifica il bene “salute” che consiste, secondo la Costituzione, nell’integrità psico-fisica, così definita non solo nell’interesse individuale del singolo ma, soprattutto, nell’interesse della collettività. Tuttavia, sono le donne a riferire un peggiore stato di benessere mentale. I diritti delle donne, infatti, abbracciano non solo il contesto sociale, economico e politico, ma anche quello legato alla propria salute, tanto fisica quanto psicologica. I molteplici ruoli che oggi le donne ricoprono nel contesto sociale e i diversi eventi traumatici legati alla gravidanza, le espongono a un rischio più alto della media di soffrire di disagi psichici. Le donne, infatti, sono costrette a sopportare il peso delle responsabilità legate al loro essere allo stesso tempo mogli e mamme. Andrebbero previsti dei percorsi di sostegno psicologici offerti dal servizio sanitario nazionale a tariffe sostenibili, per evitare che vi si rinunci per via dei costi elevati. Solo tramite incisivi interventi legislativi si può attuare tale tutela. In questo contesto, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha sottolineato quanto sia importante un congedo parentale per tutelarne il benessere psico-fisico.  Ad oggi, diversi Paesi prevedono periodi speciali di congedo specifico per aborto spontaneo, natimortalità, decesso o altre complicazioni derivanti dal parto. In particolare nel marzo 2021, il Parlamento neozelandese ha approvato all’unanimità un emendamento volto ad estendere il congedo per lutto alle coppie che, in qualsiasi momento della gravidanza, abbiano perso il loro figlio. Ebbene, attualmente in Italia non esiste una forma di congedo parentale per i casi di aborto spontaneo o di morte perinatale. Per la normativa attuale, Il Testo Unico in materia (D Lgs 151/2001) considera l’interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, a tutti gli effetti una malattia.” Per quanto riguarda i congedi per le madri, qualora l’aborto avvenga prima del 180 giorno di gestazione, si avrà esclusivamente diritto al congedo per malattia (e relativa indennità).” (La durata di detto congedo è variabile tra 7 e 14 giorni ed è gestita con il proprio medico di medicina generale). Qualora invece avvenga dopo i 180 giorni dall’inizio della gestazione, il Testo Unico riconosce il congedo di tre mesi, con la relativa indennità. Per le libere professioniste o lavoratrici autonome è previsto con gli stessi requisiti se iscritte ad INPS, mentre se iscritte a casse private dipende dal singolo ente (ad esempio, una la prevede già dal terzo mese, un’altra solo se verificatosi tra il terzo e sesto mese). Per quanto riguardo i papà, Il decreto legislativo n. 105/2022 ha modificato il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico sulla genitorialità) introducendo l’articolo 27 bis, che disciplina il “Congedo di paternità  obbligatorio”. Ricordiamo che tale congedo era stato introdotto in via sperimentale dall’articolo 4, comma 24, lettera a) della legge n. 92/2012 è reso strutturale, a partire dal 1° gennaio 2022, dalla legge di Bilancio per l’anno 2022.  In forza della nuova previsione contenuta nell’articolo 27 bis del T.U. sopra citato, il padre lavoratore dipendente ha diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo di 10 giorni lavorativi (non frazionabili a ore e fruibili anche in via non continuativa), nell’arco temporale che va dai 2 mesi precedenti la data presunta del parto fino ai 5 mesi successivi alla nascita. Il congedo è fruibile, entro lo stesso arco temporale, anche in caso di morte perinatale del figlio. Quindi anche se qualche timido cambiamento s’intravede all’orizzonte, ancora oggi nel 2022, non è prevista alcuna forma di indennità specifica per chi si ritrovi a perdere o interrompere una gravidanza in egual modo in tutti i periodi di gestazione. Pertanto, ci si auspica che il nuovo governo, per la prima volta guidato da una donna, possa favorire interventi legislativi volti ad istituire percorsi di sostegno psicologico per le coppie che subiscono tale lutto, attraverso l’istituzione di un congedo parentale per le mamme e i papà che in qualsiasi momento della gravidanza si trovino ad affrontare questo evento drammatico. E’ un argomento da portare all’attenzione dell’opinione pubblica: non esistono, infatti, lutti che possano essere trattati come se fossero di « serie B », e questa misura rappresenterebbe un passo importante. In tutto il mondo, al fine di sensibilizzare sul tema della perdita del bambino atteso durante la gravidanza o dopo la nascita e sulle sue implicazioni in termine di salute e benessere psicofisico delle donne e dei partner, il 15 ottobre si celebra la BabyLoss Awareness Day, giornata internazionale del lutto perinatale o dei bimbi persi durante la gravidanza. Purtroppo la società odierna con i suoi ritmi ossessivi, non sembra concedere il tempo per rallentare, per elaborare, per riprendersi…..tutto deve procedere speditamente, e gli “ eventi traumatici” devono essere subito archiviati come semplici incidenti di percorso di una vita da vivere a velocità folli . La perdita di un figlio però, è un trauma che non passa mai. Anche a distanza di dieci o vent’anni, le mamme e i padri mancati non riescono mai a dimenticare quella promessa di famiglia finita ancora prima di venire al mondo, perché: “ quel figlio mai nato vive nel cuore della sua mamma anche se il mondo si è scordato di lui appena il suo cuore ha smesso di battere. Quel figlio mai nato apparterrà sempre alla sua mamma anche se non potrà mai stringerlo, abbracciarlo, coccolarlo e baciarlo, perché lui c’è e ci sarà per sempre”.

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