LA TUTELA DEI MINORI NEI PROCESSI: LE AUDIZIONI PROTETTE.

Nel 1967 si posero le basi dei diritti dei minori coinvolti in procedimenti legali. Fondamentale fu infatti il caso di Gerald Gault, un quindicenne arrestato con l’accusa di molestie telefoniche. La Corte Suprema non gli permise alcun avvocato per la propria difesa, condannandolo invece ad un istituto di correzione. Il caso di Gault fu dibattuto a lungo a causa dell’assenza di protezione dei diritti dei giovani. Così facendo, il trattamento equo e la tutela dell’accusato, diventarono pian piano pilastri fondamentali nel sistema giudiziario. Un minore infatti, viene ritenuto un soggetto vulnerabile, nonché un individuo che si trova in una situazione di maggior rischio. Per bambini molto piccoli o adolescenti, la vulnerabilità s’incentra soprattutto sulla loro necessaria dipendenza da un adulto e, chiaramente, sulla mancata maturità emotiva oltre che cognitiva. Per questo motivo, quando si parla di testimone minore, si parla di ‘audizioni protette’. Queste, garantiscono un ambiente sicuro ed adatto all’età del teste. La sala d’ascolto specializzata comprende, in caso di testimone molto piccolo, anche giochi o disegni colorati così che si possa sentire in un ambiente caloroso. Di conseguenza, il fine principale è quello di minimizzare lo stress emotivo del bambino ed evitare di alterare l’audizione. Questo procedimento viene messo in atto in due casi principali: → in caso di indagini preliminari in cui viene riferito alla psicologa in carico di raccogliere le sommarie informazioni testimoniali (SIT). Questo permette di decidere se proseguire con il caso o richiedere l’archiviazione;  → in caso di incidente probatorio, nonché di cristallizzazione della prova. In questo contesto, il giudice pone al testimone le domande proposte dalle parti. In caso di procedimento civile, vi è l’obbligo di affiancamento da parte di un esperto in psicologia o psichiatria infantile ( prende quindi il nome di ‘ascolto assistito’ ) a differenza del penale che non lo prevede. Nell’audizione protetta, si utilizza lo specchio unidirezionale, ossia un vetro che permette di  assistere all’esame del teste senza però farsi vedere al fine di non turbare la serenità del minore. Inoltre, vi è l’obbligo di videoregistrazione della testimonianza. Qualora ci fossero necessità contrarie, è comunque richiesto un verbale. Il giudice deve sempre ascoltare il minore nel più breve tempo possibile, soprattutto nei casi in cui sia il minore stesso a rifiutarsi di incontrare i genitori. Solo in casi specifici, l’audizione può svolgersi presso l’abitazione del testimone. Di regola, le audizioni avvengono nei giorni che prevedono un minore flusso di gente,  comprendenti normalmente le giornate di lunedì e venerdì. In aggiunta, è preferibile un orario pomeridiano così che non si sovrapponga con la scuola. In caso di un minore con disabilità invece, si predilige il mattino poiché nelle ore successive potrebbe risultare più stanco e meno collaborativo. Gli orari che vengono concordati quindi, sono atti a ridurre lo stress dovuto all’attesa. Spesso, si consente al minore di essere accompagnato da un adulto a lui caro ma che sia emotivamente non coinvolto con il caso così che il teste possa essere maggiormente propenso a svolgere la sua audizione senza inquietudini. Una delle regole principali per svolgere un’intervista, infatti, è assicurarsi che il minore sia sereno e poter quindi instaurare un rapporto di fiducia teste-intervistatore. Al fine di condurre una buona audizione, è inoltre necessario ridurre il più possibile il numero di incontri ed esplicitare, per ognuno, lo scopo del ritrovo. Ciò che trasforma un’intervista in una buona intervista, però, è l’assenza di suggestione. Evitare domande suggestive, consente di non dubitare del teste, lasciandolo libero di esprimere ciò che è accaduto secondo il proprio pensiero. Possibili cause di suggestioni infatti, sono rappresentate dalle domande mal poste, dall’età del bambino, dal timore di quest’ultimo per l’adulto che lo intervista o, molto spesso, per la quantità di tempo che intercorre tra il fatto e l’audizione. Il cervello memorizza ciò che accade attraverso tre fasi: codifica, ritenzione e recupero. La prima comprende l’acquisizione del fatto attraverso i sensi che l’uomo sperimenta fin da piccolo; la seconda rappresenta invece il consolidamento del ricordo che passa poi nella memoria a lungo termine; come ultimo, abbiamo il recupero, nonché la capacità della nostra mente di ricordare l’aneddoto anche a distanza di anni, andandolo a recuperare nella memoria. Accade però che alcuni fatti accaduti prima o dopo l’evento principale, possano alterare quest’ultimo potendo parlare quindi di ‘interferenza’. Esistono due tipologie di interferenza: retroattiva o proattiva. La prima è rappresentata da una seconda memoria che viene codificata dopo la principale che, però, causa un’alterazione di questa andando a modificare alcuni dettagli, più o meno salienti. Al contrario, la proattiva, vede protagonista la memoria principale primaria che interferisce con un’acquisizione recente, non permettendo quindi una corretta ritenzione della seconda. A causa di queste alterazioni, succede che molto spesso i testimoni vengano portati su scena o venga fatto sentire loro un odore o un suono familiare così che entri in gioco il ‘principio di specificità della codifica’. Questo principio, il cui ideatore fu Thomson, afferma che uno stesso contesto, odore, suono o immagine, possa favorire il recupero di una memoria episodica in un tempo più breve rispetto al normale. Molti intervistatori però, commettono un grave errore: insistono. Nel momento in cui l’intervistatore, in presenza di un teste minorenne, insiste, può accadere che quest’ultimo inventi dettagli non veritieri pur di accontentare l’adulto. Questo principio è stato studiato e confermato. Prende il nome di referent power il concetto per cui un minore alteri la propria audizione per non deludere le aspettative dell’adulto che vede come onnipotente. Ovviamente, minore è l’età del teste, maggiore sarà il referent power. Diverso è invece l’ effetto Rosenthal, nonché la situazione in cui l’intervistatore, consciamente o meno, convince il minore di un fatto non reale o di dettagli modificati a cui il piccolo finisce per  credere. Bisogna inoltre tener conto che un minore, in caso di abuso o violenza, risulta essere non solo la vittima bensì, troppo spesso, anche l’unico testimone. È quindi necessario porre maggior attenzione alla conduzione dell’intervista che sarebbe meglio fosse svolta con l’ausilio di un esperto in psichiatria infantile. Il minore è un soggetto vulnerabile ed in quanto tale, dev’essere legalmente tutelato e necessariamente protetto.

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Redazione

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