Negli istituti penitenziari è possibile rilevare l’insorgenza di diverse malattie. Nel delineato contesto le forme patologiche prevalenti possono essere individuate nella dentaria, nella dermatologica (anche a causa della somatizzazione dell’ansia e da forme di autolesionismo) e nella digestiva. Le effettive condizioni degli istituti carcerari, dunque, sembrano essere un paradosso rispetto alla finalità rieducativa della pena. Inoltre, particolarmente delicata è la tutela psichiatrica dei detenuti, posto che i disturbi psicopatologici alla base dei comportamenti considerati socialmente pericolosi sono soprattutto i disturbi della personalità, caratterizzati spesso da manifestazioni di impulsività ed aggressività, presenti in modo significativo negli istituti penitenziari. I pazienti con disturbi di personalità difficilmente trovano un ruolo sociale che sarebbe essenziale per iniziare a costruirsi una propria identità. Il detenuto, infatti, vive rapporti sociali imposti, è espropriato da ogni riservatezza ed intimità e diventa dipendente dall’Istituzione; sperimenta la frustrazione, soprattutto delle aspettative e l’impotenza. Possono, quindi, manifestarsi ansia da separazione, ansia reattiva da perdita e da crisi di identità. All’inizio della carcerazione i disturbi d’ansia possono manifestarsi come crisi d’ansia generalizzata, se il disadattamento persiste dopo il periodo iniziale di detenzione possono sopraggiungere attacchi di panico e claustrofobia. Infatti, “da un punto di vista sintomatologico la “Sindrome da ingresso in carcere” presenta: disturbi dispeptici (inappetenza, senso di peso gastrico, rallentamento della digestione ecc.), morboso disgusto per tutti i cibi con conseguente impossibilità di alimentarsi (Sindrome di Gull), violenti e persistenti spasmi esofagei che non permettono la prosecuzione del cibo lungo il canale digerente”, oltre al fatto che “possono poi essere presenti manifestazioni respiratorie con sensazioni gravi di soffocamento, angoscia respiratoria, fame d’aria”, in un contesto nel quale l’organismo del detenuto reagisce con maggiore ricettività agli agenti patogeni, si abbassano le difese immunitarie e lo stress da carcerazione abbassa le difese psichiche. Per dare adeguata risposta ai bisogni di salute delle persone private della libertà personale, l’ordinamento penitenziario contiene una serie di norme che possono essere raggruppate in due distinte categorie. La prima contiene norme di carattere preventivo, ossia norme predisposte al fine di garantire la salute della generalità dei reclusi. Si collocano in tale categoria alcune delle disposizioni contenute nel capo II “condizioni generali” relative all’edilizia penitenziaria, al vestiario e al corredo, all’igiene personale, all’alimentazione e alla permanenza all’aperto. Nel secondo settore sono invece ricomprese norme che disciplinano le cure e gli interventi di assistenza sanitaria da espletare nei confronti dei singoli detenuti. La principale norma di riferimento per comprendere come viene garantito il diritto alla salute in ambito penitenziario è l’art. 11 O.P. Questo prevede innanzitutto che ogni istituto sia “dotato di servizio medico e di un servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria”. Per quanto riguarda l’attività di carattere preventivo, l’art. 17 del D.P.R. 230 del 2000 prevede che “in ogni istituto devono essere svolte con continuità attività di medicina preventiva che rilevino, segnalino ed intervengano in merito alle situazioni che possono favorire lo sviluppo di forme patologiche, comprese quelle collegabili alle prolungate situazioni di inerzia, e di riduzione del movimento e dell’attività fisica”. Ai sensi del 2° comma dell’art 11 O.P. “ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura”. Il ricovero in luoghi esterni è necessario e deve essere garantito tutte le volte in cui all’interno dell’istituto non sia possibile offrire prestazioni sanitarie adeguate. Si tratta di un preciso diritto e non semplicemente di una concessione discrezionale e meramente eventuale. Ritornando all’interno delle mura carcerarie, l’art 11 prosegue disciplinando l’attività sanitaria al momento d’ingresso nell’istituto. Tra dette misure è possibile annoverare il fatto che il detenuto, non oltre il giorno successivo a quello dell’incarcerazione, è sottoposto a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie psichiche o fisiche, in un contesto nel quale le visite sanitarie devono essere garantite in maniera periodica, anche in assenza di specifica richiesta del detenuto. Con altrettanta frequenza dovrà essere valutata l’idoneità dei soggetti rispetto al lavoro a cui sono addetti. L’Assistenza Sanitaria deve essere apprestata all’interno del carcere, secondo le disposizioni che ne regolano la programmazione, l’indirizzo, il coordinamento e l’organizzazione e solo laddove, in via eccezionale, sussistano le condizioni richiamate dall’art.11 comma 2 O.P., può farsi ricorso ai servizi sanitari esterni al carcere (art.17 comma 3 reg. esecutivo).
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