VERSO UN NUOVO CODICE DELLA NAVIGAZIONE di Massimo PROVINCIALI

Nel 2022 si sono celebrati gli 80 anni del Codice della navigazione (approvato con Regio decreto 30 marzo 1942, n.327), ed i 70 anni del relativo Regolamento di esecuzione (approvato con Dpr 15 febbraio 1952, n.328).  Le celebrazioni sono state meritatissime in quanto il Codice della navigazione è figlio di un decennio di attiva codificazione di vari rami del Diritto (Codice penale, Codice di procedura penale, Codice civile, Codice di procedura civile), che lasciò prodotti di elevatissima qualità tecnico-giuridica e che se, inevitabilmente, risentono del clima sociale e culturale dell’epoca, ben poco furono influenzati dal clima politico, se è vero come è vero che detti codici sono stati per pochi anni leggi dello Stato fascista e per diversi decenni leggi della Repubblica italiana.  Mi piace sempre evidenziare alcuni elementi di grande modernità del Codice della navigazione, soprattutto relativamente alla parte che meglio conosco per essere stata per anni il mio “terreno di gioco”: l’amministrazione del demanio marittimo. Già l’articolo 18 del Regolamento di esecuzione prevedeva la pubblicazione della domanda di concessione, anticipando quei profili di trasparenza e pubblicità per lunghi anni ignoti alla burocrazia nostrana e che da noi sono stati esplicitamente ripresi solo a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. E alla pubblicazione potevano conseguire osservazioni di controinteressati, parenti prossime delle osservazioni endoprocedimentali, istituzionalizzate in via generale solo con la legge n.241 del 1990. Infine, la norma che ho sempre apprezzato più di qualunque altra: l’articolo 37 del Codice che prevede la definizione del processo di comparazione tra più domande di concessione concorrenti a favore di chi “… si proponga di avvalersi… [della concessione]… per un uso che, a giudizio dell’amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico ...”. In questa disposizione è contenuta l’essenza dell’attività del pubblico amministratore: l’interesse pubblico come stella polare della sua decisione, la discrezionalità di giudizio come strumento del decidere, la responsabilità di una congrua ed articolata motivazione a giustificazione della scelta compiuta. Come ho già avuto modo di dire, personalmente non amo i percorsi che tendono ad oggettivizzare tutto, micro sezionando in parametri, criteri e sub criteri attività complesse come quelle dell’economia marittima, che non sono risolvibili come una gara per costruire un ponte e che porteranno ad avere come soggetto decisionale una macchina che elabora un algoritmo e non un essere umano. Detto quindi tutto il bene possibile del Codice e del suo Regolamento di esecuzione, non c’è dubbio che in 80 anni sia cambiato il mondo e molti degli istituti o delle procedure in esso contenuti hanno perso non solo di attualità, ma di praticabilità. Si è cercato, negli ultimi anni, di intervenire con modifiche chirurgiche che periodicamente vengono operate su questo o su quell’articolo (ad esempio, i servizi tecnico-nautici), oppure disciplinando un’intera materia (ad esempio quella portuale) con una legge speciale che però ogni tanto cozza con le disposizioni generali del Codice “per quanto applicabili”. Anche questo metodo però, alla lunga, si sta rivelando insufficiente ed inadeguato perché non risolve (anzi in alcuni casi, produce) corto-circuiti tra il vecchio e il nuovo, generando difficoltà interpretative ed applicative che poi paralizzano il sistema. La situazione di stallo che si è venuta creando per l’applicazione della Direttiva Bolkestein alle concessioni balneari ne è forse l’esempio più eclatante, ma anche il confronto con la Commissione europea sul tema della tassazione dei canoni riscossi dalle Autorità di sistema portuale è figlio delle contraddizioni normative e interpretative che, via via, si sono stratificate. E’ allora opportuna una riscrittura organica del Codice della navigazione (e, ovviamente, del suo Regolamento desecuzione)? Secondo me non solo è opportuna, ma è necessaria e so di essere in ottima compagnia perché negli ultimi tempi voci ben più autorevoli della mia si sono espresse in tal senso. Peraltro, l’attuale Governo ha la prospettiva di avere a disposizione l’intera legislatura, per cui il momento “politico” è favorevole. Non sono così presuntuoso da pensare di poter stilare un sommario, però sicuramente suggerirei un paio di elementi di metodo: 1. riscrivere da zero il Codice, evitando di “codificare” banalmente le modifiche nel frattempo intervenute; 2. affidarsi ad una commissione di esperti snella; non serve una pletora di 10/15 saggi, a mio parere ne bastano 4 o 5, che ovviamente abbiano mandato pieno ed abbiano la possibilità e la capacità di ascoltare tutti i così detti stakeholders. Si può partire dall’assetto delle competenze: ai tempi del Codice, Comandante del Porto e Intendente di finanza decidevano praticamente tutto, secondo le direttive dei due Ministeri di riferimento. La proliferazione degli usi marittimi, l’insorgere di vincoli (paesaggistico, ambientale, militare, idrogeologico, ecc.) e quindi di amministrazioni preposte alla loro tutela, l’estensione al demanio delle funzioni comunali in materia urbanistica, il DPR  n.616 del 1977 e la riforma del Titolo V della Costituzione che hanno ampliato il ruolo delle Regioni, sono stati eventi che hanno reso i procedimenti concessori tra i più complessi in assoluto. E’ quindi, a mio avviso, necessaria una regolamentazione specifica e rigorosa di un istituto partecipativo e semplificatorio quale la Conferenza di servizi. Personalmente, pur avendo costruito la mia carriera sulle competenze in materia di demanio marittimo (e anzi, forse, proprio per questo), ritengo che non sia oggi un tabù affrontare il tema del superamento della categoria giuridica del demanio marittimo extraportuale, assegnando tali aree alla normale competenza comunale per la pianificazione e l’occupazione di suolo pubblico, ferma restando l’applicazione di tutti i vincoli di cui si diceva sopra. Ovviamente, andrebbe inserita nel Codice la disciplina portuale, oggi quasi esclusivamente affidata alla meritoria leggen.84 del 1994 che però, anch’essa, ha subìto tanti e tali interventi di “chirurgia estetica” che come spesso avviene, hanno condotto ad un risultato peggiore dell’originale. E prima ancora di decidere quale veste giuridica dare agli enti gestori dei porti, sarà il caso di decidere “cosa” debbano fare tali enti, anche considerato il fatto che la caratteristica più fortemente innovativa della legge n.84 del 1994, la funzione regolatoria, è oggi avocata da AGCOM, ART, MIT e UEMa non si vive di solo demanio e porti. Anche la parte relativa al naviglio e al trasporto marittimo andrebbe riscritta, sia per gli effetti della globalizzazione e della mobilità delle imprese e delle loro alleanze, sia per la normativa internazionale sopravvenuta e che fa capo ad IMO ed EMSA. La multietnicità degli equipaggi, la disciplina commerciale del trasporto, le responsabilità in caso di incidenti, sono tutti fenomeni che oggi si svolgono su uno sfondo completamente cambiato e del quale è necessario riscrivere i fondamentali. Chiudo con un rapido, ma doveroso accenno ad un fenomeno solo apparentemente minore e di nicchia: il diporto nautico. I porti turistici sono stati storicamente costruiti e gestiti con la stessa normativa valida per gli stabilimenti balneari fino al 1997, quando arrivò il c.d. “decreto Burlando” che non a caso standardizzò e razionalizzò le procedure. La nautica da diporto è esplosa al punto da meritarsi negli anni scorsi un suo proprio Codice. Ecco io credo che in un’opera di “reductio ad unum ci sia spazio anche per quest’importante asset della nostra economia dei territori. Come detto, non avevo alcuna pretesa di indicare la strada, ma spero di aver contribuito a sollecitare una riflessione che porti dalle meritatissime celebrazioni per il Codice del 1942, al dibattito su come scrivere il Codice di questa nuova e sfidante epoca.

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