Nell’ordinamento italiano vige il principio generale del “nullum crimen sine iniuria” principio fondato proprio sul presupposto che non bisogna applicare le norme attraverso un meccanismo scevro dalla valutazione dei fatti e delle circostanze che lo caratterizzano, ma è invece necessario che sussista una effettiva lesione del bene giuridico protetto dalla norma atteso che, ai fini della configurazione del reato, non è sufficiente che si configuri la condotta prevista dal legislatore, ma che da ciò ne derivi una effettiva discrasia nell’ordine delle cose, così come valutate dal legislatore stesso. In materia, l’istituto della particolare tenuità del fatto, risponde alla concezione gradualistica del reato e ai principi di sussidiarietà e proporzionalità del diritto penale. Partendo da tale noto presupposto, l’Organo Giudicante ha l’onere di valutare adeguatamente i fatti di causa, bilanciandone correttamente le circostanze ed applicare le conseguenze previste dalla legge penale, limitative dei diritti dei soggetti, solo laddove necessario. Risultava necessaria la condanna della madre che non permetteva al padre di vedere il figlio nella recente Cassazione Penale Sezione VI, del 07.12.2022, (ud. 07.12.2022, depositata il 18.01.2023), n.1933. Nella vicenda in esame la Suprema Corte annullava con rinvio la sentenza di secondo grado che aveva prosciolto una madre separata, che ostacolava il diritto di visita del padre con i figli minori, ritenendo che non fosse applicabile l’istituto della particolare tenuità del fatto. La condanna era connessa alla mancata resipiscenza della donna che non si era aperta a possibili soluzioni circa l’esercizio del diritto di visita dell’ex marito con i figli. L’istituto della particolare tenuità non era attinente al caso in esame perché basato sull’ incensuratezza della donna, che però continuava consapevolmente a non attenersi ai comandi del Tribunale che aveva calendarizzato le visite paterne. Di conseguenza il nocumento patito dall’uomo era rilevante, così come risultava determinate l’abitualità della condotta della donna, che nemmeno collaborava con i servizi sociali. Così, i Giudici di Piazza Cavour questa volta hanno accolto il ricorso proposto dal procuratore generale presso la Corte d’appello, decidendo per l’annullamento della sentenza di secondo grado che aveva dichiarato la donna non punibile ex articolo 131 bis CP.
RIFERIMENTO NORMATIVO:
Art. 131 Bis del C.P. Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto
1. Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. 2. L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. 3. L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede: 1) per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive; 2) per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, nonché per il delitto previsto dall’articolo 343; 3) per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 391-bis, 423, 423-bis, 558-bis, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583, secondo comma, 583-bis, 593-ter, 600-bis, 600-ter, primo comma, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-undecies, 612- bis, 612-ter, 613-bis, 628, terzo comma, 629, 644, 648-bis, 648-ter; 4) per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 19, quinto comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194, dall’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo, e dagli articoli 184 e 185 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. 4. Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. 5. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69. 6. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.