DOVUTO L’ASSEGNO DIVORZILE ANCHE ALLA MOGLIE LICENZIATA PER COLPA GRAVE di Lucia VARLIERO

L’assegno divorzile implica un obbligo di natura economica che viene posto a carico di un coniuge a favore dell’altro coniuge dal Tribunale avente scopo perequativo e di sostentamento. La norma di riferimento è l’art. 5 comma 6 della Legge sul divorzio (Legge 898 del 1970) da integrarsi con  le pronunce giurisprudenziali. Le decisioni della Corte di legittimità e di merito si sono rivelate fondamentali per la materia, attesa la grande esistenza delle lacune normative. Tra le diverse pronunce spicca quella della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 18287 dell’11 luglio 2018, che ha interpretato la natura dell’assegno divorzile, definendolo come una misura avente scopo assistenziale, perequativo e compensativo in risposta ed in osservanza al dettato costituzionale ex art. 2 e 29. L’assegno divorzile si fonda sul principio di solidarietà tra coniugi che ha valenza anche post-coniugale. Ma l’istituto non si riconosce automaticamente. Occorre invero che il Tribunale procedente valuti le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi e se il richiedente è effettivamente privo dei mezzi “adeguati” al proprio sostenimento ed è impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive ed accertare le cause della sperequazione tra i coniugi. Nel ribadire la natura dell’assegno divorzile, la Suprema Corte di Cassazione, con la recente pronuncia della sezione I, del 22.12. 2022,  n. 37577 ha riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio per l’ex moglie licenziata per comportamenti illeciti a lavoro chiarendo che: “L’assegno divorzile ha natura compensativa e perequativa, ma anche una funzione assistenziale, che richiede pertanto la disamina dell’inadeguatezza dei mezzi propri. Nel caso di specie la Corte di appello ha accertato la sussistenza di una situazione di fatto che giustificava il riconoscimento dell’assegno: dopo il licenziamento disciplinare per la condotta delittuosa consistita nella produzione di certificati medici falsi al fine fruire di giorni di malattia non dovuti, l’ex moglie era divenuta disoccupata e non più in grado di reperire un lavoro, sia per via dell’età che della sua salute, con conseguente insufficienza dei mezzi a sua disposizione.” In particolare, nella vicenda sottesa alla pronuncia in argomento accadeva che un uomo avesse resistito contro la decisione che riconosceva l’assegno di divorzio alla moglie, richiesto da quest’ultima in quanto disoccupata perché era stata licenziata in tronco per suoi comportamenti illeciti, anche integranti gli estremi di reato, per i quali era persino stata pronunciata sentenza di condanna penale. In terzo grado l’uomo denunciava la violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9, ed il c.d. vizio di “sussunzione” deducendo che la condotta delittuosa e volontaria della donna, tanto grave da farle  subire un licenziamento disciplinare, era ostativa al riconoscimento del diritto a percepire l’assegno divorzile, dovendo tale situazione essere equiparata all’abbandono volontario dal lavoro come chiarito anche dalla medesima corte con sentenza n. 26594 del 2019. Il ricorrente eccepiva anche che la donna, per ottenere una modifica delle condizioni di divorzio e quindi vedersi riconosciuto l’assegno, avrebbe dovuto dimostrare una situazione nuova e sopravvenuta, idonea a modificare l’originario assetto reddituale e patrimoniale degli ex coniugi, ma tale modifica non poteva dipendere da una condotta colposa né dolosa. Dunque l’uomo lamentava che i fatti nuovi non fossero rilevati se dipendenti dalla richiedente. La suprema Corte però disattendeva le eccezioni dell’uomo in primis ribadendo che la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018, “nell’affermare che l’assegno di divorzio ha (in pari misura) anche natura compensativa e perequativa, ne ha comunque ribadito la funzione assistenziale, richiedendosi, a tal fine, l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.” e dunque, “ove tali condizioni non sussistessero al momento della pronuncia della sentenza di divorzio, nel caso in cui, successivamente, uno degli ex coniugi – sul rilievo di essere rimasto disoccupato ed incapace di provvedere al proprio sostentamento – deduca, in sede di modifica delle condizioni di divorzio, essersi verificata una situazione nuova, idonea a modificare l’originario assetto reddituale e patrimoniale e a giustificare il riconoscimento dell’assegno divorzile, il giudice è chiamato ad accertarne la loro eventuale sopravvenienza.” Nel caso di specie il licenziamento disciplinare, anche se colpevole, determinava un mutamento della situazione reddituale della donna che prima percepiva uno stipendio e poi si ritrovava ad essere disoccupata ed impossibilitata a trovare un altro lavoro sia in ragione dell’età (anni 57), sia delle condizioni di salute (invalida civile al 60% con certificazione di portatore di handicap ex Legge n. 104 del 1992). Sussisteva quindi una situazione caratterizzata dalla inadeguatezza dei mezzi e dalla impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. La sentenza richiamata dal ricorrente (Cass. n. 26594 del 2019) per cui l’abbandono volontario dal lavoro integra un’ ipotesi ostativa all’insorgenza del diritto a percepire l’assegno divorzile, veniva tacciata di erronea interpretazione. Per gli ermellini “E’ pur vero che nella sentenza sopra citata questa Corte ha condiviso l’impostazione della Corte d’Appello di non riconoscere al coniuge richiedente l’assegno divorzile perché l’impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, in quel caso, non dipendeva da incapacità lavorativa, ma dalla “libera scelta” del coniuge di abbandonare l’occupazione lavorativa”  Nel caso di specie la donna non aveva più capacità lavorativa e si trovava quindi in una situazione di impossibilità di procurarsi i mezzi “per ragioni oggettive”.   Ne deriva che, come specificato dal Giudice di legittimità, il mancato riconoscimento del diritto all’assegno non costituisce una punizionema è una conseguenza derivante da una situazione oggettiva.

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