28 Novembre 1794 – Muore Cesare Beccaria. A Cesare Beccaria si devono i concetti fondamentali del diritto penale moderno contenuti nella sua celebre e fondamentale opera “Dei Delitti e delle Pene”. Non scrisse solo “Dei delitti e delle pene”, ma anche altri testi dedicati all’economia e all’estetica. Nato a Milano il 15 marzo 1738, laureato in legge, giurista, economista e filosofo, fu uno dei massimi rappresentanti dell’Illuminismo italiano. La sua opera più importante, “Dei delitti e delle Pene”, composta sulla spinta e l’attiva collaborazione dell’amico Pietro Verri, ha rivoluzionato il diritto penale e posto le fondamenta della scienza criminale moderna, ispirata a un approccio sensista e laico, dove i principi utilitaristici si incontrano con una vena umanitaria. Il saggio è stato scritto di getto da tra il 1763 e il 1764 sulla scia di animate discussioni con i fratelli Verri, e fu stampata nel 1764 a Livorno. Nell’introduzione all’opera si legge: “Le leggi, che pur sono o dovrebbon esser patti di uomini liberi, non sono state per lo più che lo stromento delle passioni di alcuni pochi, o nate da una fortuita e passeggiera necessità; non già dettate da un freddo esaminatore della natura umana, che in un sol punto concentrasse le azioni di una moltitudine di uomini, e le considerasse in questo punto di vista: la massima felicità divisa nel maggior numero.” Con il saggio Dei delitti e delle pene Cesare Beccaria si propone di stabilire quale sia il più giusto e utile rapporto fra i «delitti» e le corrispondenti «pene». La pena è utile se pubblica, pronta, necessaria, minima, proporzionata e dettata dalle leggi. Punto di forza dell’opera di Beccaria è il rifiuto della pena di morte, non solo e non tanto perché è ingiusta, ma perché è inutile. La condanna a morte, infatti, non costituisce un vero deterrente per il corpo sociale, il quale può abituarsi allo spettacolo dell’esecuzione fino a indurirsi così tanto da diventare a sua volta incline a tale delitto, oppure provare eccessiva compassione per la “vittima” e un senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni. Inoltre, la condanna a morte è una pena “intensiva”, che produce un effetto momentaneo; più utile risulta invece un tipo di pena “estensiva”, che produce conseguenze durature. Se in questa tesi Beccaria mostra tutto il suo debito verso il sensismo, molto evidente è anche la componente utilitaristica del suo pensiero: la pena detentiva è un monito durevole e persistente per la società e un modo per riparare il danno economico-sociale per il condannato. Il fine della pena, infatti, deve essere in ultima analisi rieducativo. Anche la tortura è radicalmente condannata. Essa viola la presunzione di innocenza ed è, ancora una volta, inutile sul piano operativo, in quanto di norma induce a false confessioni dettate dalla sofferenza.
Ecco alcuni principi contenti nell’opera del Beccaria: “Le pene sproporzionate danneggiano la società; Nessuno può chiamarsi reo prima della sentenza; O i processi sono rapidi o le pene sono ingiuste; Per prevenire i delitti servono leggi chiare e semplici; La pena deve essere pubblica, pronta, necessaria, minima, proporzionata e dettata dalle leggi”.
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