C’ERA UNA VOLTA A FIRENZE …. Niccolò MACHIAVELLI

 

 

 

 

 

 

 

C’era una volta a Firenze …. Niccolò Machiavelli  –

intorno al 1520, esattamente 500 anni fa, il fiorentino Machiavelli completava il noto trattato politico “Discorsi sulla prima decade di Tito Livio”. Nel libro terzo al sesto capitolo, si soffermava nella trattazione delle congiure, affermando l’autonomia dell’azione politica disgiunta dal rispetto delle norme morali, sempre a patto che, nella ciclica degenerazione delle varie forme di governo, si possa giungere infine, a realizzare un consolidamento delle strutture politiche migliorate strutturalmente e perfezionate nella loro efficacia.
Ebbene, 500 anni dopo, in piena degenerazione dei costrutti politici, in un triste annebbiamento della lungimiranza dei governi, siamo orfani dei geniali insegnamenti e lontani dalle brillanti intuizioni dell’antico politico Toscano!
Continua tuttavia a far parlare di sé la città di Firenze attraverso il suo ex sindaco che sta elucubrando sull’attuazione di elaborate dinamiche all’interno dell’arco costituzionale. Matteo Renzi, postosi ormai come alter ego di Giuseppe Conte, sta suggerendo al premier, in vari modi, di recarsi al Quirinale per porre fine al proprio secondo esecutivo e dimettersi. In cambio, il leader di Italia viva, promette di partecipare a un seminuovo governo guidato per la terza volta dal giurista pugliese, mantenendo l’identica formazione di maggioranza ma con molte sostituzioni alla guida dei ministeri, prevedendo la nomina dello stesso Renzi e sicuramente di Maria Elena Boschi la quale sta mantenendo le comunicazioni tra i due interlocutori, non senza qualche attacco fuori misura quando ha parlato pubblicamente di “Un professore senza esperienza”
Conte avrebbe fatto sapere a Renzi di poter prendere in considerazione l’ipotesi di chiudere anzitempo la vita del suo attuale esecutivo, pretendendo però per l’immediato futuro, ampie garanzie nel sostegno ad una riproposizione del suo terzo mandato.
Aleggia infatti, la possibilità di una trasversale strategia, non certo machiavellica che prevederebbe, una volta avvenute le dimissioni del Premier, la formazione di un gabinetto di larghe intese, aperte anche a destra, nel quale i renziani avrebbero un peso specifico elevatissimo, essendo indispensabili per il raggiungimento della maggioranza, affidato però, in tal caso, a Mario Draghi oppure alla presidente della Corte costituzionale, Marta Maria Cartabia. Con sullo sfondo tali paventate eventualità, dunque, non è da escludere si possa arrivare davvero al duello finale da combattere in parlamento, dove addossare ai deputati di “Italia Viva” la responsabilità di avanzare la mozione di sfiducia al premier, in aula. Dietro alla spavalderia, Renzi nasconde comunque problemi seri, il più importante dei quali riguarda i suoi 18 senatori e 30 deputati che non è detto lo seguirebbero tout court sino in fondo, al punto da aprire una crisi al buio che potrebbe sfociare in elezioni anticipate dalle quali “Italia viva” uscirebbe in questo momento, a dir poco, malconcia. Prima di arrivare a questi scenari, Conte, recependo l’input di Nicola Zingaretti tenterà ancora di proporre un “Patto di legislatura” ove ponderare i margini di azione per evitare la crisi e mantenere l’attuale coalizione, magari operando un qualche rimpasto di poltrone ministeriali con Teresa Bellanova ed Elena Bonetti che potrebbero uscire subito dal governo durante il prossimo Consiglio dei ministri.
Intanto, nell’incontro tenutosi a Palazzo Chigi nella giornata dl ieri 9 gennaio, convocato da Conte con il vertice della maggioranza, le oltre tre ore e mezza di discussione non sono state risolutive, ma nessuno s’illudeva potessero esserlo, per appianare i profondi dissidi in atto tra la maggioranza ed Italia viva rappresentata dai tre esponenti del partito di Matteo Renzi, la ministra Teresa Bellanova e i capigruppo Maria Elena Boschi e Davide Faraone, mentre il senatore di Firenze, invece, è rimasto fuori dal vertice e ha preferito farsi intervistare da Barbara Palombelli su Rete4 per dire “se devo stare in maggioranza per non fare niente, preferisco stare all’opposizione” e “ancora oggi non ci hanno dato il piano di Recovery, ci hanno dato una sintesi. Gli italiani non ne possono più. Al governo dico: prendete una decisione, quella che sia, ma prendetela”.
Il Governo, dopo aver per esaminato la bozza del Piano sul Recovery Fund, elaborata dal ministro Gualtieri, tende ad approvarla all’inizio della prossima settimana, in Cdm e andare a discuterla poi, in aula. Eloquente il twitt a fine vertice, espresso con senso di coesione dal vicesegretario del Pd Andrea Orlando “Tutte le forze della maggioranza hanno deciso di approvare la prossima settimana la proposta di Recovery fund. Credo sia una decisione giusta e responsabile. Evitiamo che le divisioni politiche pesino su questo strumento fondamentale per il futuro del Paese”.
Altrettanto si denota nella nota del Movimento 5 stelle “Esprimiamo soddisfazione per l’esito del vertice tenuto questa sera a Palazzo Chigi sul Recovery Plan, rispetto al quale abbiamo realizzato significativi passi in avanti“. Stesso tenore nella dichiarazione di Federico Fornaro, capogruppo di Leu: “Abbiamo raggiunto un accordo su un punto: il testo completo del Recovery fund sarà disponibile, ventiquattro ore prima del Consiglio dei ministri”.
“Il Paese non può permettersi un ritardo sul Recovery“, perché in quel caso sarebbe “imperdonabile” aver messo a rischio la ripresa. “Tutti i contributi delle varie forze politiche sono serviti a migliorare l’attuale bozza di lavoro del Recovery Plan. Non abbiamo potuto accogliere tutte le richieste di ciascuno, dobbiamo sempre tener conto dell’equilibrio complessivo. Ma ciascuna forza può riconoscere l’incidenza delle proprie proposte nella nuova bozza e apprezzare i significativi passi avanti compiuti”, è quanto ha aggiunto, il premier Giuseppe Conte, rassicurando, inoltre, i partiti che nei prossimi giorni, è previsto un “confronto per concordare una lista di priorità per la restante parte della legislatura”. Machiavelli riconosceva l’esigenza dei cittadini di immedesimarsi e riconoscersi nello Stato al fine di costituirne essi stessi, la grandezza. La congiura deve tendere ad un fine: realizzare la magnanimità del potere; anche se basata sulla giustificazione dell’immoralità della sua azione, tuttavia, non si può discostare dalla virtù morale degli uomini. Sono le qualità dei cittadini e soprattutto di chi dirige che determinano la fortuna degli Stati: la fortuna è oggetto di casualità ma la virtù degli uomini di potere, sta essenzialmente alla base dei successi politici.  di Maria Concetta Valotta

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Direttore: Avv. Angelo RUBERTO

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