CHI HA UCCISO IL PATROCINIO PER I NON ABBIENTI? di Filippo CASTELLANETA

Chi ha ucciso il patrocinio per i non abbienti . 
L’Istituto del “Patrocinio a cura dello Stato” per i cittadini non abbienti indagati o imputati in un processo penale, sta vivendo un periodo di profonda crisi. Una legge insufficiente, una prassi giudiziaria disarmante e le lungaggini burocratiche   che ritardano i tempi di pagamento sono i responsabili del cattivo funzionamento dell’istituto e della perdita di interesse dello stesso da parte degli avvocati poco propensi a distrarre tempo ed energie dallo studio delle carte processuali in favore della parallela procedura di ammissione, verifica e liquidazione delle istanze per le difese a favore di persone non abbienti. A ciò si aggiunga che ormai in molti processi è necessario avvalersi di ausiliari e consulenti, anche poco propensi a svolgere il loro lavoro in attesa del compimento di iter procedurali lunghissimi per il pagamento delle parcelle. La conseguenza è che il patrocinio quindi può assicurare una attività difensiva spesso parziale e limitata e per lo più rimessa alla diligenza ed alla professionalità del volenteroso  difensore. Perché questo? Chi sta diminuendo l’efficacia di un Istituto così importante? Importante e fondamentale per un processo che sia  uguale per tutti.  Infatti la Costituzione all’art. 24 afferma che sono assicurati ai non abbienti, con appositi Istituti, i mezzi e per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. L’attuale apposito Istituto è il DPR 115/2012 (T.U delle spese di Giustizia) che all’art.76 afferma che chi ha un reddito inferiore ad € 11493,82 può ottenere il patrocinio a spese dello Stato. E l’art. 83 dello stesso decreto afferma che le spese e l’onorario del difensore e del consulente di parte sono liquidate dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento. Bene. … Sembra tutto semplice, ma… Il Magistrato può respingere la istanza se vi sono fondati motivi che l’interessato non versa nelle condizioni di cui all’art. 76 e all’art.92 tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte. A tale fine, prima di provvedere, il magistrato può trasmettere l’istanza, unitamente alla dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di Finanza per le necessarie verifiche. Tutti i Magistrati trasmettono l’istanza alla Guardia di Finanza per la necessaria verifica e anche se ammettono al patrocinio lo fanno “in via provvisoria” e inviano ugualmente la istanza e gli allegati alla  Guardia di Finanza. Nel frattempo il difensore comincia a svolgere la sua attività perché ha una nomina, ma non  sa se lo Stato sarà effettivamente l’Ente pagatore della sua attività lavorativa. Eh già, perché il Magistrato potrebbe non ammettere il richiedente che ha un casellario con delle condanne, come se il delitto significa reddito sicuro, o potrebbe non ammetterlo a seguito della informativa della GdF, oppure potrebbe revocare l’ammissione a seguito della informativa della GdF, magari a processo avviato o addirittura concluso quanto meno per la fase di primo grado. E in quest’ultimo caso il difensore ha la spiacevole sorpresa di aver lavorato inutilmente in quanto non avrà diritto al compenso da parte dello Stato e avrà difficoltà a recuperare somme da un cliente dichiaratosi non abbiente. A questo punto è ovvio che subentra lo scoramento dell’avvocato e quindi la scelta di non accettare clienti che vogliano avvalersi dell’istituto del patrocinio a cura dello Stato. Altra considerazione che ci riporta alla attualità di questi anni: sono vari i rimedi da parte dello Stato per aiutare i non abbienti: il reddito di inclusione, il reddito di cittadinanza, i sussidi comunali. Ebbene tali forme di “aiuto” per categorie comunque che non hanno redditi lavorativi e sono ai limiti della sopravvivenza sono tutti cumulabili nel reddito imponibile ai fini del  calcolo del reddito complessivo valutabile ai fini dell’applicazione dell’istituto. Non è difficile per costoro superare  il limite  degli 11.493,82 euro e perdere il diritto. E poi pensabile che una persona che abbia un reddito annuo di 12-13 mila euro annui  possa permettersi di pagare un avvocato, e di affrontare gli oneri e le spese di un processo penale? E’ una legge, quindi, quella attuale, che ormai mostra tutti i suoi limiti, incapace di assicurare davvero quel diritto declamato dall’art. 24 Costi. a favore di chi ne ha davvero bisogno. E’ una legge, poi,  che espone gli avvocati a violazioni dei loro  diritti ad avere un lavoro retribuito giacchè è sufficiente che il Magistrato opini circa il casellario giudiziale dell’assistito per negare il beneficio, oppure che la Gdf scopra la esistenza di un bene mobile non dichiarato (magari una autovettura usata immatricolata 10 anni prima) per revocare il beneficio al cliente,  quando il lavoro, dell’avvocato è stato già svolto, con buona pace dell’art. 36 Cost. che assicura per tutti il diritto ad una “retribuzione”. E’ un Istituto che andrebbe rivisto perchè non assicura al ceto “non abbiente” una effettiva copertura dei costi della difesa penale e non assicura alla categoria degli avvocati, e soprattutto dei colleghi più giovani che sono portati a fare maggior uso dell’Istituto, lo svolgimento in maniera serena e puntuale dell’incarico ricevuto. La legge, l’applicazione  giurisprudenziale, la prassi e la burocrazia stanno uccidendo un Istituto che invece è fondamentale per raggiungere l’obiettivo di rendere uguali tutti i cittadini, abbienti e non abbienti, di fronte alla necessità di adeguatamente difendersi in un processo penale. (Avv. Filippo Castellaneta, Foro di Bari)

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