L’ex coniuge con maggiore disponibilità economica è tenuto a versare il canone di locazione della casa familiare, anche se questa è stata assegnata all’altro con una sentenza di separazione o di divorzio. Ciò come integrazione del contributo di mantenimento a favore dei figli. Lo ha stabilito la Cassazione, Sesta Sezione Civile, con ordinanza n. 12058/2020. Secondo l’art. 6, c. 2, della L. 392/1978 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), in caso di separazione (giudiziale o consensuale) o di divorzio, nel contratto di locazione succede la parte a cui il giudice ha attribuito il diritto di abitazione. Per la Suprema Corte, però, questa regola subisce una deroga nel caso in cui il coniuge a cui viene assegnata la casa familiare sia più “povero” dell’altro. Su quest’ultimo, infatti, dovrà gravare il canone di locazione, come integrazione dell’assegno di mantenimento verso la prole. La vicenda : In primo grado il Tribunale di Roma dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio della coppia, stabilendo a carico del marito l’obbligo di versare 700 euro in favore di una figlia, 800 euro in favore dell’altra e 600 euro in favore dell’ex moglie a titolo di assegno divorzile. Il Giudice lo obbligava altresì a pagare il canone di locazione dell’abitazione familiare, come integrazione del contributo verso le minori. Ciò nonostante la casa fosse stata assegnata all’ex moglie, collocataria delle bambine. In secondo grado la Corte d’Appello di Roma riformava la sentenza di primo grado revocando l’assegno di divorzio in favore della donna, ma lasciava intatte le restanti statuizioni. Compresa quella sulla locazione. L’uomo ricorreva dunque alla Suprema Corte, lamentandosi dell’obbligo di pagare l’affitto di una casa che non abitava. In Cassazione: il canone di locazione grava sul coniuge più “ricco” Gli Ermellini rigettavano il ricorso perché infondato. L’art. 6, c. 2, della legge 392/1978, infatti, stabilisce che nel contratto di locazione di una casa familiare, in caso di separazione o divorzio, subentra chi esercita il diritto di abitazione: ovvero l’ex coniuge cui viene assegnata la casa con sentenza. Tuttavia, la Cassazione reinterpreta questa norma sotto il profilo del consorte economicamente più forte, che sarà tenuto al pagamento del canone. Ma, si badi bene, a titolo di integrazione del mantenimento delle figlie. Ecco uno stralcio dell’ordinanza: “E’ consentito al giudice della separazione e del divorzio di porre a carico del coniuge con maggiori disponibilità e, come nella specie, ad integrazione del contributo in favore della prole, l’onere del pagamento del canone di locazione dell’immobile adibito a casa familiare, anche se di essa non sia assegnatario ed indipendentemente dall’intestazione del contratto di locazione e dalla qualità di conduttore”. Il Collegio ribalta cioè l’art. 6 summenzionato. L’obbligo di versare le mensilità previste dal contratto di locazione grava sul coniuge con maggiori disponibilità, anche se questi: non è l’assegnatario dell’immobile; non è intestatario del contratto di locazione. La Cassazione rigetta dunque il ricorso del marito, dando vita ad un precedente giurisdizionale di fondamentale importanza.
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