FOGGIA 25.07.2020 – PROCESSO MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA – IMPUTATA MOGLIE: ASSOLTA EX ART. 530 COMMA 1° CPP.

FOGGIA 25.07.2020 –  Incensurata, onesta lavoratrice, accusata in fase di separazione dal marito di maltrattamenti a danno suo e delle figlie, il 5 settembre del 2019 fu sottoposta alla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla sua famiglia. Solo dopo alcuni mesi riuscì a vedere le figlie, nel corso di colloqui protetti innanzi al consultorio ASL. All’udienza del 10 luglio il PM aveva chiesto 3 anni di reclusione. Dinanzi al Giudice Domenico Zeno, la donna,  per il tramite del suo difensore, dopo aver chiesto di essere giudicata con rito abbreviato, è stata assolta con formula piena (530 primo comma codice procedura penale) perché il fatto non sussiste. Nessuna violenza, nessun maltrattamento. Solo banali liti famigliari, in cui non c’è un carnefice e una vittima. Le motivazioni dell’assoluzione saranno note fra tre mesi, ma la formula utilizzata dal Giudice non lascia molto spazio all’interpretazione. L’Avv. Michele Vaira, difensore dell’imputata, esprime la sua soddisfazione. « La mia assistita è stata sottoposta alla più dura, violenta e mortificante misura cautelare che una mamma possa subire, ossia l’allontanamento forzato dalle proprie figlie. Che, dal suo punto di vista, è stato peggio del carcere. Abbiamo dimostrato, a mezzo di corpose indagini difensive, che nei mesi di convivenza forzata la mia assistita è stata sottoposta a continue provocazioni, spiata e controllata a mezzo di videocamere occultate. Paradossalmente, e per nostra fortuna, la calunniosità delle accuse (ritenute non sussistenti dal GUP) è stata provata anche mediante l’utilizzo dei filmati raccolti dal marito, che non ha esitato a coinvolgere le figlie minorenni in tale attività, realizzando una vera e propria alienazione parentale. La strumentalità della denuncia formulata contro la mia assistita è emersa in tutta la sua evidenza. Capita spesso, purtroppo, che in fase di separazione giudiziale le denunce penali vengano utilizzate come armi improprie per orientare le decisioni in materia di collocamento dei figli minori. Ma la verità, prima o poi, emerge in modo prepotente, come nel caso di oggi. Andrebbe fatta una seria riflessione sulle conseguenze dell’introduzione del cd “codice rosso”. La previsione di tempistiche estremamente contingentate per l’esecuzione delle indagini e l’adozione dei provvedimenti da parte della magistratura, se da un lato garantiscono la tempestività dell’intervento dell’Autorità, dall’altro compromettono la necessaria ponderazione delle accuse ». (Fonte: www.studiolegalevaira.it)

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