Se non vi è certezza alcuna che una storia d’amore tra due persone duri “finché morte non li separi”, certamente “per sempre” rimangono i figli, l’affetto, i diritti e i doveri nei loro confronti. Quindi, è necessario e indispensabile determinare come, chi e in che misura debba provvedere al loro mantenimento. Questione che alimenta vorticosamente la polemica e la discordia tra mamma e papà. Di regola, i minori continueranno a vivere con uno dei genitori e proprio questo provvederà direttamente al loro mantenimento (farà la spesa alimentare, pagherà le bollette, acquisterà i vestiti, i medicinali da banco e così via). Naturalmente anche l’altro genitore, pur non vivendo con i figli, dovrà contribuire e lo farà corrispondendo al genitore collocatario un assegno mensile. Per la quantificazione di quest’ultimo, la legge non indica formule matematiche o teoremi aritmetici. Individua, piuttosto, dei parametri che devono essere considerati e ai quali è necessario riferirsi per determinare un importo che sia quanto più possibile rispondente alle necessità di quel minore e alla vita che ha condotto siano al momento della separazione dei genitori. Prima di tutto, il codice civile impone di considerare le esigenze dei figli. Dunque, se, a titolo esemplificativo, un bambino soffre di particolari allergie o intolleranze alimentari e per lui è necessario provvedere all’acquisto di cibi ricercati (notoriamente più costosi), questo elemento potrebbe essere determinante per spostare verso l’alto il quantum dell’assegno di mantenimento a suo favore. In secondo luogo, sono da considerare le abitudini che i bambini avevano in costanza di convivenza con mamma e papà. È importante, infatti, evitare che la separazione dei genitori implichi che i minori vivano due realtà diametralmente opposte quando sono con l’uno o con l’altro (lusso e sfarzo da un lato, rinunce e sacrifici dall’altro). Sono da valutare, poi, i tempi che i bambini trascorrono con ciascun genitore. Infine, per determinare l’ammontare dell’assegno di mantenimento, dovranno essere considerati sia la valenza economica dei compiti domestici e sia il valore dell’assegnazione della casa familiare. Il tutto sempre e comunque avendo come luce guida e come limite le risorse economiche di ciascun genitore. Tuttavia, anche seguendo il dettato normativo, capita che chi deve corrispondere l’assegno sia pervaso da un senso di ingiustizia e iniquità e chi, al contrario, deve riceverlo lo reputi inadeguato ed esiguo. Chi sarà tenuto al versamento dell’assegno, infatti, penserà sempre che il genitore che riceve quel denaro lo userà per sé e non per i figli e chi ha diritto a riceverlo si sentirà incompreso perché, invero, le spese da affrontare – anche se definite “ordinarie” – saranno sempre di più di quelle che si possono blindare in un quantum fisso mensile. Chiariti tutti quelli che sono gli elementi da tenere in considerazione per spostare verso l’alto o verso il basso l’asticella dell’assegno di mantenimento per i figli, le strade percorribili sono due: la prima è quella di fomentare gli avvocati perché si battano instancabilmente al mercato della trattativa. La seconda via, invece, è quella di determinare insieme, dati di spesa e altri elementi alla mano, l’ammontare dell’assegno. In modo che entrambi i genitori lo ritengano equo e soddisfacente per i loro figli, per la loro famiglia, per le loro abitudini di vita. Seguire questa seconda strada ha l’indiscutibile vantaggio di rendere le parti più consapevoli e prevenire, in questo modo, quella percezione di impersonalità e di ingiustizia che si può provare quando la decisione viene imposta da un terzo (il giudice). (Avv. Marzia Coppola – [email protected] – Studio Bernardini de Pace)
– / 5
Grazie per aver votato!