LA FISCALITA’ LOCALE NELLA PROMOZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE LOCALE di Francesca NERLI

La fiscalità locale nella promozione del patrimonio culturale territoriale. Il codice dei Beni Culturali e del Paesaggio mette in evidenza un rapporto di corrispondenza biunivoca fra beni culturali e turismo, quest’ultimo occasione di profitto economico e sviluppo per il territorio. Non a caso, l’art. 24 del Codice predetto pone, fra i compiti delle istituzioni, quello di realizzare iniziative turistiche volte ad incentivare la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico situato sul territorio senza, però, aggravare di nuovi oneri le finanze pubbliche. Grazie anche all’insegnamento proveniente dalla giurisprudenza comunitaria, a livello locale, si va registrando un nuovo approccio, basato sulla tendenza ad operare mediante vincoli di destinazione e tributi di scopo. Già la Legge finanziaria del 2007 (Legge n. 296 del 2006) ed il Decreto sul Federalismo Municipale (Decreto Legislativo n. 23 del 2011) prevedevano una imposta di scopo mirata alla esclusiva copertura delle spese occorrenti per la realizzazione di specifiche opere pubbliche, fra le quali da ricomprendere quelle di restauro e conservazione di beni artistici ed architettonici, oltre che la creazione di nuovi spazi per attività culturali, realizzazione di biblioteche ed allestimenti museali. A prescindere dalla disputa intercorsa all’interno della dottrina tributaria circa la natura di simili tributi, ciò che rileva è la circostanza che siamo in presenza di un elemento di rottura rispetto alla tradizionale regola dell’ unità di bilancio. Andando più nello specifico, l’imposta di scopo si rivolge ai residenti entro una data realtà territoriale, ed è correlata ai benefici derivanti dalla realizzazione di un’opera pubblica. Fermo restando il carattere facoltativo del prelievo, dal 2011 è possibile che la sua copertura concerna l’intera spesa sostenuta. Tuttavia, permane ancora oggi, il limite dell’impossibilità di estendere il gettito del prelievo a quelle attività accessorie ma comunque essenziali ai fini dell’effettiva fruizione dell’opera realizzata. Inoltre, data la sua struttura fortemente ancorata sulla correlazione prelievo-beneficio, è prevista la restituzione delle somme versate dai contribuenti laddove, entro i due anni dalla data fissata nel progetto esecutivo l’opera non sia iniziata. Ai fini della disciplina dell’imposta di scopo viene fatto richiamo alle disposizioni di imposta comunale sugli immobili; riferimento questo marginale e sussidiario a fronte della previsione, da parte del legislatore, dell’obbligo per i Comuni di indicare nell’atto istitutivo del tributo gli estremi dell’opera da realizzare, dell’ammontare della spesa da finanziare, dell’aliquota di imposta, dell’applicazione di deduzioni, riduzioni od esenzioni in favore di residenti in particolari condizioni socio-economiche, nonché le modalità per effettuare il relativo versamento. Di tal guisa, prende vita una tipologia di imposta, di fatto, molto simile ai “contributi di miglioria”. Tuttavia, malgrado il clima positivo che sembrava aver accolto questo genere di imposizioni connotate da vincolo di destinazione, sono pochi i Comuni che hanno scelto di avvalersene: il Comune di Lauro per restaurare Palazzo Pignatelli, il Comune di Castellabate per pavimentare il centro storico, il Comune di Norfasso per riqualificare la zona urbana di interesse storico ed artistico.

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Redazione

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