L’UCPI – Unione Camere Penali Italiane ha lanciato dunque il “MANIFESTO DEL DIRITTO PENALE LIBERALE E DEL GIUSTO PROCESSO”, sui cui contenuti ci stiamo confrontando a Milano, in questo fine settimana, assieme ad gran numero di autorevolissimi giuristi italiani.
La elaborazione del testo è infatti frutto di una feconda collaborazione con l’Accademia, ma l’idea è tutta politica. La erosione delle fondamenta del garantismo penale nel nostro Paese è cominciata da molti decenni, ed il populismo giustizialista al governo è null’altro che il frutto di quella semina.
Il nostro Paese ha affrontato – questo è certo- diverse e peculiari emergenze sociali e politiche: terrorismo, mafia, corruzione politica. La erosione del garantismo penale nasce con l’idea, reiteratasi negli anni e divenuta ormai un riflesso quasi involontario, che l’emergenza chiami necessariamente una risposta -legislativa e giudiziaria- eccezionale, nel senso etimologico della parola. Una risposta cioè che consideriamo forte ed efficace solo se ed in quanto sia derogatoria ai principi di garanzia.
Fu così con i famigerati “decreti Cossiga” a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80, in nome della lotta al terrorismo ed alla sovversione politica; poi con le leggi che hanno inaugurato e sempre più rafforzato negli anni il c.d. “doppio binario”, cioè un regime processuale e sostanziale per i reati di mafia separato e diverso da quello “ordinario”. Poi abbiamo avuto la “rivoluzione giudiziaria” di Mani Pulite, con un intero sistema politico e partitico letteralmente eliminato da una Procura della Repubblica (e, fisicamente, da un solo ed unico GIP).
Tutto ciò è stato possibile grazie all’affermarsi di una idea malsana, e cioè che lo Stato, per difendere se stesso e la pace sociale, debba inevitabilmente limitare le garanzie di libertà, sostanziali e processuali, legiferando in via di eccezione; e dall’idea altrettanto malsana che il processo penale sia uno strumento per combattere il crimine, e non invece il luogo dove si accertano e si giudicano le responsabilità penali degli imputati, assistiti dalla presunzione di non colpevolezza.
Ora, questa parabola illiberale raggiunge il suo apice, ed in fondo il suo sbocco naturale, nel populismo penale al Governo. L’emergenza (immigrati, droga, mafia, violenza di genere, corruzione, terrorismo, furti in appartamento, stupri) è il pane quotidiano propinato ad una opinione pubblica per conseguenza allarmata ed inferocita; e la legislazione eccezionale diventa la regola. Le garanzie sono dichiaratamente un intralcio; la presunzione di non colpevolezza una prouderie salottiera; la pena carceraria un idolo, le pene alternative al bando; il diritto penale non più il luogo dove si regola e si limita il potere punitivo dello Stato e la sua formidabile ingerenza sulla libertà personale di ciascuno, ma un maglio da scagliare rabbiosamente contro il “nemico” di turno.
È giunto allora il momento di richiamare al centro del dibattito politico e culturale del Paese il senso ed il valore dei principi fondativi dell’idea costituzionale e liberale del diritto penale e del giusto processo. E’ giunto il momento di gridare con forza il valore salvifico di quei principi, la necessità di proclamarli con forza, con chiarezza, con orgogliosa rivendicazione. E’ giunto il momento di promuoverne lo studio, la conoscenza, la discussione, nelle università, nelle istituzioni, nella politica, nell’opinione pubblica.
Il Manifesto è articolato in 35 principi, che a noi paiono davvero identificativi di quell’idea liberale del diritto penale e del processo che riteniamo la sola compatibile con la nostra Carta Costituzionale. Il meglio dei giuristi italiani ne discutono in questo fine settimana a Milano, nella patria di Cesare Beccaria, il cui volto -e certo non a caso- è il simbolo dell’Unione delle Camere Penali Italiane. È, già questo, un risultato formidabile, che ci riempie di orgoglio.
Speriamo che questo Manifesto possa costituire lievito per la crescita civile e democratica del nostro Paese