È incostituzionale la previsione di pene accessorie di durata fissa decennale (inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e incapacità di esercitare uffici direttivi nelle imprese) per tutti coloro che siano condannati per bancarotta fraudolenta. Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 222 depositata oggi. Pene accessorie temporanee di durata fissa, come quelle previste dalla norma dichiarata illegittima, non sono compatibili – ha affermato la Corte – con i principi di proporzionalità e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio.
Poiché la gravità dei fatti qualificabili come bancarotta fraudolenta può essere in concreto assai diversa, un’unica e indifferenziata durata delle pene accessorie determina risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto ai fatti di bancarotta meno gravi. D’ora in poi, quindi, nel condannare un imputato per bancarotta fraudolenta il giudice penale dovrà determinare discrezionalmente la durata delle pene accessorie che si aggiungono alla pena principale della reclusione.
La durata delle pene accessorie sarà stabilita caso per caso dal giudice, fino al tetto massimo di dieci anni ma senza più alcun automatismo, tenendo conto della concreta gravità del fatto commesso dall’imputato. Resta ferma, ovviamente, la possibilità che la durata della pena accessoria sia maggiore di quella della pena detentiva.
La Corte ha infatti osservato che le pene accessorie hanno un minor grado di afflittività, e svolgono una funzione almeno in parte diversa, rispetto a quella delle pene detentive, essendo finalizzate a impedire al condannato di continuare le attività che gli hanno fornito l’occasione per commettere gravi reati. (Comunicato Stampa Corte Costituzionale del 5.12.2018)