DICHIARAZIONE FALSA e REDDITO di CITTADINANZA

L’art. 7, comma 1 del decreto legge n. 4 del 2019 stabilisce che chiunque al fine di percepire indebitamente il reddito di cittadinanza “rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni.”

⚖️ La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza  n. 49047 del 2023, ha recentemente chiarito che in tema di reato di falso per l’ottenimento del reddito di cittadinanza “deve pertanto ritenersi che, sebbene la legge n. 197 del 2022 sia entrata in vigore, anche per quanto attiene al ricordato comma 318, già alla data del 1 gennaio 2023, la concreta efficacia dell’effetto abrogativo previsto dalla disposizione in esame deve intendersi sospesa sino alla diversa data del 1 gennaio 2024, con la conseguente perdurante applicazione, trattandosi di disposizione ancora in vigore, del citato art. 7 e degli effetti penali da esso previsti”.  La sentenza de qua si basa su un’interpretazione logico-sistematica secondo cui non “costituisce ostacolo la previsione di cui all’art. 2, comma 2, cod. pen., il quale stabilisce che “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato”, atteso che, dovendo farsi riferimento, ai fini della applicazione della legge penale, alla normativa vigente sia al momento del fatto, sia al momento di celebrazione del giudizio, a tutt’oggi, per effetto della clausola di postergazione dell’effetto abrogativo dell’art. 7 decreto legge  n. 4 del 2019, contenuta nel già citato comma 318 dell’art. 1 legge n. 197 del 2022, il fatto attribuito al ricorrente come da lui commesso costituiva reato sia alla data di sua realizzazione sia, ancora, al presente momento, a nulla rilevando – se non che per gli eventuali, diversi, effetti del secondo periodo dell’art. 2, comma 2, cod. pen. – la successiva, ancorché anteriormente prevista, abrogazione della norma incriminatrice”.  Sulla base di tali deduzioni, la Corte di Cassazione ha individuato la soluzione per far valere l’effetto abrogativo successivamente alla data dell’1 gennaio 2024 anche per le sentenze divenute irrevocabili, specificando che “salvo ripensamenti del Legislatore, laddove si verificherà l’effetto abrogativo, è data la possibilità al condannato di adire al giudice dell’esecuzione al fine di ottenere la rimozione della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., sempre che il fatto, già oggetto di incriminazione da parte dell’art. 7 decreto legge  n. 4 del 2019, non sia (ancora) astrattamente sussumibile in altre ipotesi di reato, perché, in tal caso – disciplinato dal comma 4 dell’art. 2 cod. pen. – il giudicato penale di condanna rimane intangibile”.

RIFERIMENTI NORMATIVI:

Legge 29 dicembre 2022, n. 197 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025.

Comma 318: A decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati.

Decreto legge n. 4 del 2019.  Art. 7 Sanzioni

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni.
2. L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni.
3. Alla condanna in via definitiva per i reati di cui ai commi 1 e per quelli previsti dagli articoli 270-bis280289-bis416-bis416ter422600600-bis601602624-bis628629630640-bis644648648-bis e 648ter del codice penale, dall’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, per i delitti aggravati ai sensi dell’articolo 416-bis.1 del codice penale, per i reati di cui all’articolo 73, commi 1, 1-bis, 2, 3 e 4, nonché comma 5 nei casi di recidiva, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché all’articolo 74 e in tutte le ipotesi aggravate di cui all’articolo 80 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e per i reati di cui all’articolo 12, comma 1, quando ricorra l’aggravante di cui al comma 3-ter, e comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per gli stessi reati, consegue di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito. La revoca è disposta dall’INPS ai sensi del comma 10. Il beneficio non può essere nuovamente richiesto prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna.
3-bis. Nel caso di condanna definitiva per i reati di cui al comma 3, qualora il condannato abbia reso la dichiarazione ai sensi dell’articolo 7-ter, comma 3, le decisioni sono comunicate dalla cancelleria del giudice all’INPS entro quindici giorni dalla data di pubblicazione della sentenza definitiva.
4. Fermo quanto previsto dal comma 3, quando l’amministrazione erogante accerta la non corrispondenza al vero delle dichiarazioni e delle informazioni poste a fondamento dell’istanza ovvero l’omessa successiva comunicazione di qualsiasi intervenuta variazione del reddito, del patrimonio e della composizione del nucleo familiare dell’istante, la stessa amministrazione dispone l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva. A seguito della revoca, il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito.  … OMISSSIS …
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