Fissata dalla Corte Costituzionale l’udienza – 23.01.2019 – per trattazione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della Legge n. 67 del 28 aprile 2014 e, dell’art. 1, lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016, relativi all’abrogazione del reato di ingiuria – art. 594 c.p. -, per contrasto con gli articoli 2, 3, 10 e 117 della Costituzione: La questione era stata sollevata dal Giudice di Pace di Venezia con due ordinanze identiche che contengono la seguente motivazione «Le disposizioni abrogative del reato hanno determinato la fuoriuscita del bene dell’onore e del decoro dal sistema di tutela pubblicistica dei diritti fondamentali», tra i quali non vi è dubbio che rientrino anche «quelli del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione». «Il rispetto che ho per gli altri – prosegue il giudice a quo citando Kant – è il riconoscimento della dignità che è negli altri. Ed è proprio per consentire il riconoscimento della dignità che è negli altri che è sorta la necessità di tutelare la dignità di ogni essere umano». Posto che «i diritti inviolabili dell’essere umano debbono essere tutelati dalle norme penali per l’efficacia deterrente della sanzione penale» – continua il giudice – «nel caso di specie il legislatore ha approvato con legge ordinaria la contestuale abrogazione della fattispecie delittuosa dal codice penale ed ha introdotto una tutela privatistica del bene costituzionalmente protetto, utilizzando il medesimo testo del primo comma dell’art. 594 codice penale, andando così a degradare il reato che tutela un bene di rilevanza costituzionale ad un illecito civile sottoposto unicamente al nuovo istituto della sanzione pecuniaria civile (art. 4 del decreto legislativo n. 7/2016) e ledendo, ad avviso del remittente, gli articoli 2 e 3 della Costituzione posti a tutela dei diritti fondamentali della persona, universalmente riconosciuti».
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