CONTRIBUTO UNIFICATO: UN’INGIUSTIZIA PER AVVOCATI E CITTADINI di Daniela TESTA e Leila BENSALAH

Il contributo unificato è quel particolare tributo che deve essere versato quando in un processo si iscrive una causa a ruolo, quindi,  a titolo di rifusione all’Erario delle spese di giustizia. In particolare il disegno di legge, sulla riforma del processo civile, in un’ottica di “decisa semplificazione del processo civile” è intervenuto anzitutto sugli istituti di risoluzione alternativa delle controversie: mediazione delle controversie civili e commerciali e negoziazione assistita. La riforma del processo civile ha disposto che l’incentivo all’uso della mediazione possa essere finanziato con l’aumento del contributo unificato. Il paventato aumento, previsto in via eventuale dalla legge delega di riforma, è da ricollegarsi alla politica di incentivazione delle cosiddette Adr (Alternative Dispute Resolution), le procedure di risoluzione alternativa delle controversie, ossia, sostanzialmente, la mediazione e la negoziazione assistita. L’analisi della questione deve necessariamente partire dal testo della legge delega, che dedica un’apposita sezione alle procedure Adr, per favorirne un maggiore utilizzo in un’ottica deflativa delle controversie in tribunale. In attesa che prendano forma ulteriori provvedimenti legislativi in materia (che potrebbero anche essere anticipati in questi giorni finali del 2021), sembra scontato che, in ultima analisi, a subire il costo dell’aumento e gli effetti che ne discendono saranno principalmente gli avvocati e i cittadini. L’analisi della questione deve necessariamente partire dal testo della legge delega, che dedica un’apposita sezione alle procedure Adr, per favorirne un maggiore utilizzo in un’ottica deflattiva delle controversie in tribunale. In via generale, va detto che gli istituti di risoluzione alternativa delle controversie saranno incentivati dalla riforma con l’introduzione di un testo unico in materia di procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie e con altre soluzioni, in particolare l’incremento degli incentivi fiscali collegati a tali procedure. ✅ l’incremento dell’esenzione dall’imposta di registro nei procedimenti di mediazione (attualmente il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro. Con tutta probabilità tale limite verrà portato a 100.000 euro);✅  la semplificazione dei meccanismi dei crediti d’imposta e la previsione di ulteriori casi in cui sono riconosciuti crediti d’imposta ricollegati alla procedura (ad esempio, sarà introdotto un credito commisurato al valore del contributo unificato versato dalle parti nel giudizio, quando quest’ultimo sia estinto a seguito di proficuo ricorso alla mediazione). La copertura finanziaria di tali incentivi fiscali è espressamente prevista dalla legge delega e comporta un onere stimato in 4,4 milioni di euro per il 2022 e 60,6 milioni di euro a decorrere dal 2023, rinveniente dalla corrispondente riduzione di alcuni fondi stanziati da precedenti previsioni legislative. Il nodo della questione, però, è il seguente: se tale copertura finanziaria dovesse rivelarsi insufficiente, è previsto che le ulteriori risorse che dovessero essere ritenute necessarie dovranno essere reperite tramite un aumento del contributo unificato. Infatti, la legge di riforma “delega il Governo a monitorare i limiti della spesa previsti per l’attuazione di queste disposizioni al fine di prevedere – al verificarsi di scostamenti dai predetti limiti di spesa- l’incremento del contributo unificato a copertura delle ulteriori spese emerse in sede di monitoraggio. Se è vero che un maggiore utilizzo delle Adr dovrebbe tradurre in un minore volume di controversie in tribunale, non si comprende perché a finanziare l’incremento delle mediazioni debbano essere, in ultima analisi, proprio i cittadini, pagando il costo aumentato del contributo unificato. Aumentare il costo da sostenere per instaurare una causa civile equivale, in buona sostanza, a rendere più difficoltoso ed elitario l’accesso alla giustizia da parte dei singoli cittadini, sminuendo l’effettività del diritto alla difesa. In altre parole, con una simile soluzione l’impegno finanziario di cui dovrebbe farsi carico il governo finisce per gravare a carico degli utenti della giustizia. Il contributo unificato previsto dal D.P.R. n. 115/2002 è una tassa sulla giustizia civile ed amministrativa che ogni cittadino o impresa che vuole far valere un proprio diritto o interesse deve pagare prima dell’inizio del procedimento. Il contributo unificato, in questi anni, non solo non ha assicurato una giustizia più efficiente, ma non ha neanche comportato la totale eliminazione delle anacronistiche “marche da bollo” in uso negli uffici giudiziari. Il contributo unificato è stato periodicamente aumentato da Governi e Parlamenti di ogni colore politico che, lo hanno visto come il mezzo più semplice per “fare cassa”, senza comprendere che l’aumento dello stesso avrebbe dovuto comportare un miglioramento della giustizia. Come se ciò non bastasse, l’art. 37 del Decreto Legge n. 98/2011 (c. d. “Manovra economica correttiva”) contiene delle previsioni particolarmente gravi in materia di contributo unificato: l’introduzione del contributo nelle cause di lavoro, nei giudizi per separazione personale dei coniugi e nelle liti tributarie (fin qui esenti), oltre al sistematico aumento degli importi dovuti nelle controversie civili ed amministrative (fino a 4.000 euro per il ricorso al Giudice Amministrativo in materia di appalti). L’aumento del contributo unificato non determinerà alcun miglioramento del “sistema giustizia”, né garantirà il gettito atteso: si tratta di una misura che avrà l’unico effetto di rendere più oneroso il ricorso ai Tribunali da parte di chi ne ha bisogno ed è già è stato penalizzato dalla lunga crisi economica. ✅ L’aumento del contributo unificato sicuramente diminuirà il contenzioso, discriminando i cittadini le imprese in base alle disponibilità economiche e colpendo in modo grave ed ingiustificato – nel silenzio generale – tutto il settore dell’avvocatura, già da molto tempo in crisi. Si tratta di una misura antidemocratica ed ingiusta che rende più oneroso l’esercizio del diritto – costituzionalmente garantito – di difesa, più difficoltoso il controllo sull’operato degli uffici pubblici e dell’erario. Da qualsiasi lato si guarda la questione si legge una forte tendenza da parte del legislatore a disincentivare l’accesso alla giustizia, sia essa civile che amministrativa. Tali manovre equivalgono sostanzialmente ad un vero e proprio diniego di giustizia. A fronte di una giustizia sempre più costosa (contributo unificato, bolli e diritti vari) bisogna aggiungere il dato fattuale, che consiste in una giustizia nelle aule dei tribunali sempre più lenta e faticosa, con una giurisprudenza pronta a fare un passo indietro e a stravolgere ogni volta, in un’ottica completamente incoerente, il proprio pensiero. I cittadini si trovano spesso di fronte alla scelta di rinunciare ai propri diritti perché impossibilitati a sostenere i costi di una giustizia che funziona a scaglioni e che per il grado d’appello in sede civile vede corrispondere il doppio del contributo unificato, oltre agli onorari di quel povero Avvocato che se chiede la parcella (anche se al di sotto dei minimi) e/o un anticipo congruo per le spese ha definitivamente perso un cliente. Oggi chi può accedere alla giustizia? Ad accedere alle aule dei tribunali sono sempre più i cittadini che godono del gratuito patrocinio, i poveri e sono sempre più gli Avvocati che sono costretti, per i motivi ampiamente rappresentati, a lasciare la professione. Ma il numero delle cause iscritte a ruolo in tribunale può veramente essere risolto così? Incentivando le ADR e /o aumentando il costo del contributo unificato? Sembrerebbe che il reale obiettivo sia quello di eliminare la Giustizia e gli Avvocati e che il  legislatore sia sempre meno attento alle reali esigenze della giustizia e dei cittadini. (di Daniela TESTA , Avvocato del Foro di Napoli e Leila BENSALAH, P. Avvocato del foro di Vicenza)

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