CASSAZIONE 3^ SEZIONE PENALE, OMESSI VERSAMENTI PREVIDENZIALI

Omessi versamenti previdenziali. Cassazione 3^ Sezione Penale, Sentenza  n. 16485 depositata il 30 aprile 2021. 
1.Con sentenza in data 19.6.2019 la Corte di Appello di Milano ha integralmente confermato la pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Monza che ha condannato L.G. alla pena di venti giorni di reclusione ed Euro 200,00 di multa ritenendolo responsabile del reato di cui alla L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 per aver in qualità di titolare dell’impresa “Il Fornaio di G.G. & C.” omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni del personale dipendente relativamente all’anno di imposta 2013.

2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio motivazionale, l’omessa risposta alle doglianze articolate con l’atto di appello, fra cui in particolare la deposizione resa dalla teste G.M.G. a conferma di quanto dichiarato da G.A., per essersi la Corte di Appello limitata a parafrasare la sentenza di primo grado.
2.2. Con il secondo motivo deduce, invocando il vizio motivazionale, che avendo la teste G.M.G., dipendente dell’impresa dichiarato di non aver ricevuto regolarmente lo stipendio nel periodo in contestazione al pari dei suoi colleghi, non poteva ritenersi configurato il reato in contestazione e comunque non raggiunta, a fronte delle esigue somme corrisposte a titolo di retribuzione, la soglia di punibilità. Nell’evidenziare come i testi escussi avessero riferito che la società era stata messa in liquidazione, lamenta inoltre la mancata disamina della sentenza del Tribunale di Monza n. 924/2019 prodotta innanzi alla Corte di Appello che aveva dichiarato l’imputato non responsabile dell’analogo reato riferito all’anno di imposta successivo (2014) per essersi costui occupato soltanto dell’attività produttiva senza essere perciò a conoscenza degli inadempimenti previdenziali. Rileva in ogni caso di aver prodotto la documentazione medica attestante l’assenza dell’imputato dal lavoro per gravi problemi di salute 2.3. Con il terzo motivo si duole, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 131 bis c.p. e al vizio motivazionale, del diniego della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto alla luce dell’esiguità degli importi debordanti la soglia di punibilità fissata ex lege per il delitto in contestazione, contestando che si potesse tener conto dei pregressi inadempimenti non essendo stato accertato alcun reato per agli anni di imposta precedenti, nè tanto meno che potesse farsi ricorso a considerazioni meta-giuridiche quali le implicazioni economiche del momento attuale, utilizzate dalla Corte di Appello quale motivazione del mancato accoglimento della richiesta difensiva.
Motivi della decisione
1. Il primo ed il secondo motivo, tra loro intrinsecamente connessi, afferendo entrambi alla valutazione delle risultanze istruttorie su cui si fonda l’affermazione di responsabilità del prevenuto, non possono ritenersi ammissibili. Le censure difensive non colgono nel segno in relazione a nessuno dei profili lamentati. In ordine all’asserita gestione dell’impresa da parte della moglie la quale soltanto, secondo la prospettazione difensiva, si sarebbe occupata della gestione amministrativa e contabile dell’impresa, limitandosi il L. ad occuparsi della parte produttiva, la censura risulta all’evidenza generica, non venendo neppure specificato a quale titolo il coniuge fosse stato investito dal titolare, nè quali fossero le attribuzioni espressamente demandategli. Nel ricorso non si fa infatti menzione di alcuna delega in tal senso che necessariamente avrebbe dovuto essere conferita dal titolare al fine di investire il terzo di specifici poteri inerenti l’amministrazione dell’impresa, delega che secondo l’univoca interpretazione giurisprudenziale deve essere, al fine di determinare il subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, espressa, inequivoca e certa, oltre ad investire persona tecnicamente capace, fermo restando l’obbligo di vigilanza sul corretto esercizio della delega (Sez. 4, n. 39158 del 18/01/2013 – dep. 23/09/2013, Zugno e altri, Rv. 256878; Sez. 4, n. 24908 del 29/01/2019 – dep. 05/06/2019, Ferrari, Rv. 276335); ove si fosse, invece, trattato di un incarico di fatto demandato alla consorte, non potevano ritenersi venuti meno i poteri così come gli obblighi gravanti sull’imputato che, in quanto titolare della posizione di garanzia, risponde in prima persona dell’inosservanza degli adempimenti connessi alla carica, comunque derivanti dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo delle attività demandate ai terzi. In relazione alla sentenza prodotta dalla difesa concernente l’assoluzione dell’imputato dall’analogo reato in materia previdenziale ed assistenziale riferito all’anno di imposta successivo, di nessuna censura è passibile l’omessa pronuncia sul punto considerata l’insussistenza di una pregiudiziale o comunque di una connessione in relazione ad inadempimenti riferiti ad anni di imposta differenti. Quanto al mancato versamento delle retribuzioni al personale dipendente nell’anno di imposta in contestazione, la doglianza è inammissibile posto che non risulta essere stata mai devoluta ai giudici del gravame, non venendone fatta alcuna menzione neppure nel riepilogo dei motivi di appello all’interno della stessa sentenza impugnata e non avendo l’eventuale omissione in tal senso formato oggetto di alcuna contestazione (Sez. 2, n. 9028 del 5/11/2013 – dep. Il 25/02/2014, Carrieri, Rv, 259066), bensì formulata per la prima volta soltanto innanzi a questa Corte. E’ in ogni caso palesemente generica, non venendo neppure specificate nè le retribuzioni che si assumono non versate al personale dipendente, nè gli importi che con allegazione intrinsecamente contraddittoria il ricorrente afferma essere stati corrisposti solo parzialmente. Con riferimento, infine, alla messa in liquidazione dell’azienda, la doglianza così come formulata non consente neppure di evincere a quale data risalga il provvedimento, ferma in ogni caso l’assenza di un nesso di causalità tra il mutato status dell’impresa, senza che neppure risulti invocata una causa di forza maggiore o uno stato di necessità, ed il reato in contestazione, il quale presuppone lo specifico obbligo del datore di lavoro di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, in qualità di sostituto dei soggetti destinatari degli emolumenti retributivi, nei confronti dell’ente previdenziale (Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017 – dep. 22/09/2017, Agozzino, Rv. 271189; Sez. 3, n. 38269 del 25/09/2007 – dep. 17/10/2007, Tafuro, Rv. 237827; Sez. 3, n. 33945 del 05/07/2001, Castellotti, Rv. 219989).
2. Neppure le contestazioni svolte con il terzo motivo in ordine al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. può ritenersi ammissibile. Nel dare atto del marginale scostamento delle somme non versate rispetto al tetto di 10.000 Euro fissato ai fini della punibilità dalla L. n. 638 del 1983, stesso art. 2 i giudici distrettuali ritengono, ciò nondimeno, ostativa al riconoscimento dell’invocata esimente sia la precedente condotta dell’imputato che negli anni antecedenti a quello oggetto di contestazione nel presente procedimento si era già reso ripetutamente inadempiente agli obblighi previdenziali ancorchè in misura mai superiore alla soglia di rilevanza penale, sia delle “complessive implicazioni” derivanti dalla sua condotta nell’attuale momento storico. Il ragionamento seguito, scevro da vizi di illogità, non presta il fianco ad alcuna censura. Ove infatti si muova dalla natura abituale o più precisamente a condotta frazionata pacificamente rivestita dal reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, ne deriva che le singole condotte di cui si compone, ognuna afferente all’omesso versamento riferito alla singola mensilità, seppur prive di rilevanza penale se singolarmente considerate, concorrono nel loro insieme alla configurazione del delitto allorquando superino, nel totale la soglia di punibilità prescritta ex lege. Conseguentemente, al di là della modesta entità del contenuto dell’obbligo contributivo imposto e non adempiuto con riferimento all’annualità 2013, legittimo è l’apprezzamento da parte del giudice di merito della pluralità degli inadempimenti di cui si compone il reato in contestazione, nonchè di quegli riferiti agli anni antecedenti, che in quanto accrescitivi dell’offesa al bene giuridico protetto dalla norma in esame, configurano il “comportamento abituale” di cui all’art. 131 bis c.p., comma 3, di per sè ostativo al riconoscimento del beneficio, essendo il segno di una devianza “non occasionale” (cfr. in termini Sez. 3, Sentenza n. 13107 del 22/01/2020 – dep. 28/04/2020, Rv. 279093, secondo cui la modesta entità del contenuto dell’obbligo contributivo imposto e non adempiuto non è di per sè sufficiente a configurare la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, avendo rilievo, a tal fine, le modalità e la durata della violazione).
3. Segue all’esito del ricorso la condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi, alla luce della sentenza del 13 giugno 2000 n. 186, per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020. Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2021
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