REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA ANCHE SENZA STABILE CONVIVENZA di Elena CASSELLA

La decisione emessa dalla Corte d’Appello di Catania il 20 febbraio 2021 e depositata il 24 marzo 2021, affronta la delicata tematica riguardante i maltrattamenti in famiglia ma in un contesto più ampio rispetto alle ipotesi sino ad ora oggetto di tutela penale.  In particolare la Corte d’Appello, muovendo da un orientamento giurisprudenziale di legittimità, ha operato un ampliamento del concetto di famiglia, già esteso alle unioni di fatto tra soggetti dello stesso sesso e soggetti eterosessuali. Tale estensione ha riguardato anche l’ambito di quei rapporti nei quali è presente un figlio nato, o che sta per nascere, in un contesto familiare in cui non vi è una relazione e/o la consueta contiguità di vita dei partner.  In altri termini sono stati ricondotti nell’alveo del concetto di famiglia, in ordine alla fattispecie di reato de qua, quei rapporti privi di convivenza e nei quali esiste un legame generato dalla nascita, avvenuta o prossima, di figli. Cosa prevede il reato di maltrattamenti? Il reato di maltrattamenti, per ricordarne sommariamente le caratteristiche tipologiche, è una fattispecie a forma libera, perpetrabile esclusivamente all’interno di precisi rapporti tra agente e vittima: rapporto di famiglia o di convivenza, rapporto di autorità, rapporto di affidamento per ragioni di educazione, cura, vigilanza, custodia o per l’esercizio di arti o professioni. Come noto, ai fini del perfezionamento del reato di Maltrattamenti contro familiari, si rende necessaria sia la presenza di ripetuti atti vessatori, anche di natura diversa, ma comunque lesivi dell’integrità fisica o morale della persona tali da rendere dolorosa la convivenza. È necessaria pure la condizione di soggezione psicologica della persona offesa, che costituisce la naturale ricaduta di un regime di sistematica sopraffazione della sua persona posto che, quello che consente di ritenere integrato il reato di cui all’art. 572 c.p., distinguendolo dai singoli delitti di lesioni, ingiurie o minacce di cui eventualmente si compone, è proprio l’abitualità. Tale abituali va intesa come sistematicità delle suddette condotte cui necessariamente corrisponde lo stato di sofferenza fisica o morale cui il soggetto passivo. Il soggetto passivo è infatti legato all’aggressore dal vincolo familiare o parafamiliare, implicante legami di natura affettiva, economica e solidale ben difficili da recidere. È ovvio che sia naturalmente esposto. Poiché l’interesse protetto è la personalità del singolo in relazione al rapporto che lo unisce al soggetto attivo, tale rapporto, per dar vita alla condotta illecita, necessariamente implica una posizione di sudditanza o soggezione psicologica della vittima nei confronti dell’agente; e mai una posizione di carattere paritario: si configura all’interno della relazione familiare “malata” e mai vissuta come il consorzio naturale fondato sul matrimonio o su una stabile relazione di convivenza in cui il singolo individuo sviluppa la propria personalità. Poste queste brevi premesse dogmatiche, veniamo al caso sottoposto al vaglio della Corte. Il fatto e gli spunti di diritto . L’episodio sul quale si è pronunciata la Corte d’Appello di Catania, riguarda una serie di condotte violente perpetrate da un giovane uomo alla propria compagna, nell’ambito di una relazione nella quale non vi era una convivenza, né una condivisione di spazi, ma incontri avulsi da quello che notoriamente viene considerato un nucleo familiare. La donna, di origini siciliane, da tempo subiva percosse, schiaffi, ingiurie oltraggiose, rapporti sessuali non consensuali completi e senza l’uso di contraccettivi, a cui si aggiungevano minacce di vario genere e di morte. L’aggravante dell’aver causato un perdurante stato di condizionamento psico-fisico, dettato dalle suddette violenze, ad una donna in stato di gravidanza, ha permesso alla Corte d’Appello di Catania di ricondurre la suddetta relazione a quel vincolo familiare o parafamiliare implicante legami di natura affettiva, economica e solidale che consente di contestare la fattispecie penale ex art. 572 c.p.: “A tal riguardo deve essere precisata come quest’ultima era in attesa di un nascituro, frutto della relazione con l’odierno imputato. Tale circostanza è particolarmente rilevante in quanto deve ritenersi che il nucleo familiare del sig. -omissis- e quello della parte offesa, siano gruppi familiari che si stanno omogenizzando. […] In altre parole, deve dirsi che in conseguenza della gravidanza della parte offesa non sono venuti meno i vincoli di solidarietà che derivano dalla precedente qualità del rapporto intercorso tra le parti.” L’estensione del concetto di famiglia, dunque, anche a nuclei familiari che si stanno omogenizzando, in considerazione della imminente nascita di prole, consente di fatto di tutelare soggetti deboli che diversamente, qualora si ancorasse il concetto di famiglia alla mera convivenza, sarebbero sprovvisti di tutela. I comportamenti dell’imputato, nel caso di specie, sono stati di un’efficacia offensiva particolarmente rilevante, non solo in ordine alle percosse ricevute dalla vittima, ma anche alle minacce, agli atti di danneggiamento e alla violenza fisica e psicologica subita dalla persona offesa; parte offesa che, in mancanza di una riconducibilità di tali episodi alla previsione di cui all’art.572 c.p., avrebbe rischiato di essere sottoposta ad una tutela minore. Infatti, in assenza di una interpretazione estensiva della fattispecie di reato ex art. 572 c.p., le ingiurie rimarrebbero relegate ad una azione di natura civilistica, con la previsione di un mero ristoro economico, e in ogni caso “depotenziato” rispetto alla più grave forma di reato de qua e le stesse minacce perpetrate in danno della persona offesa incontrerebbero il limite della condizione di procedibilità, esigendo, così come da previsione codicistica, la querela di parte. Così anche il reato di lesioni e le minacce non gravi, proprio perché perseguibili solo a querela di parte, avrebbero l’ulteriore ostacolo della condizione di procedibilità. In casi come questi sarebbe impedita una tutela immediata ed efficace. In definitiva, in assenza di un ampliamento fisiologico del concetto di famiglia, legato alla presenza di un nascituro, pur in assenza di una convivenza more uxorio, si è costretti a riqualificare le condotte nell’ambito di ipotesi delittuose di minore spessore sotto il profilo della tutela penale ed ancorate alla condizione di procedibilità, che è la querela. Saremmo inevitabilmente dinanzi a una condizione processuale di handicap che non consente sempre alle persone offese di avere il giusto coraggio per denunciare i fatti all’autorità giudiziaria. Quindi, lo sforzo fatto prima dalla Procura rubricante, poi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale etneo e successivamente dalla Corte d’Appello di Catania, ha di fatto suggellato la contestazione già promossa coraggiosamente dalla Procura in sede di esercizio dell’azione penale. Dopo aver assunto le informative trasmesse dagli organi di polizia la soluzione interpretativa estensiva sul concetto di “famiglia”, ha consentito di approntare una tutela immediata ed efficace, in forza della quale si è evitato che i suddetti reati potessero sfociare in ipotesi delittuose ben più gravi. La cronaca quotidiana ci relaziona costantemente, soprattutto alla luce degli innumerevoli episodi di femminicidio che hanno martoriato l’anno appena trascorso e soluzioni tecniche come quella illustrata consentono di approntare un argine adeguato. (Elena CASSELLA, Avvocato, Consigliere dell’Ordine degli avvocati di Catania, Presidente della Scuola Forense Vincenzo Geraci di Catania)

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