REVENGE PORN: UNA LETTURA GIURIDICA E SOCIALE di Alice MIGNANI VINCI ed Angelo RUBERTO

Reato di Revenge Porn: una lettura sociale e giuridica. La violazione della privacy che annienta la dignità.  Sul conflitto tra la libertà e il pregiudizio.

REVENGE PORN – Art. 612 – ter del Codice Penale. E’ passato un anno dall’entrata in vigore della legge conosciuta come “Codice rosso” del 19 luglio 2019, n. 69, voluta in maniera bipartisan a tutela delle donne e dei soggetti deboli che subiscono violenze, per atti persecutori e maltrattamenti. La legge ha introdotto tra l’altro l’art. 612 ter del codice penale, che punisce la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite. Articolo da subito sottoposto anche alla prova del lockdown – dovuto all’epidemia da Covid-19 -, che ha anche determinato un aumento esponenziale dei comportamenti, anche illecite, online. La fattispecie, si riferisce a chi diffonde il materiale spesso è il partner, attuale o precedente, che condivide autoscatti ricevuti in privato (sexting) o materiale di coppia. Lo scopo di chi lo compie è quello di umiliare, vendicarsi o vantarsi. La vittima può essere, non solo contraria e inconsapevole della diffusione, ma persino non cosciente dell’esistenza dei materiali, quando questi sono ottenuti con spy cameras o virus installati nei suoi dispositivi personali. Spesso, si profila anche l’ipotesi di contenuti sottratti dai cloud di personaggi noti, per trarre profitti ad es. monetizzando dalle visualizzazioni di materiale divenuto virale sul web, così come spesso si verificano casi di estorsione, che non si traduce nella sola richiesta di denaro, ma anche in una minaccia di divulgazione (sextortion) magari rivolta a persone care alla vittima, se questa non invia ulteriore materiale “hot”. L’articolo 612 ter, prevede: Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (revengeporn) – Codice Penale. 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro. 2. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. 3. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. 4. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. 5. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procederà tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio. La vicenda che ha visto protagonista la maestra d’asilo di Torino, vittima di un vero e proprio ricatto sessuale, unitamente allo sdegno della direttrice della scuola in cui prestava servizio, ha posto in enfasi la drammatica realtà attuale, rispetto alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, che come detto poc’anzi, possiamo identificare nella fattispecie di reato cosiddetta “Revenge Porn”, introdotta con l’articolo 612-ter del codice penale. Il giudizio della società rispetto a quella che dovrebbe essere la libertà, nel proprio privato, di una donna, appare ancora feroce, lapidario, in alcuni casi a tal punto da portare alla perdita del lavoro. Licenziamenti ingiusti che vanno a pesare sul trauma di veder violata la propria riservatezza, la propria corporeità, di sentirsi colpevoli di qualcosa che è lecito, ovvero la libertà, nella propria sfera intima, di condividere contenuti che mirano alla sensualità più libera. Che è un diritto, poiché non lede alcun valore e non deve interessare le qualità di un soggetto per quanto attiene le competenze lavorative e professionali. E anche a Roma la giovane allenatrice di 33 anni Alice Broccoli, si vede giudicata pesantemente per delle foto su Instragram, “rea” di aver tenuto pubbliche immagini non in linea col suo ruolo, e anche lei, ingiustamente privata del lavoro: “Oggi sono stata licenziata per le foto che pubblico sul mio profilo Instagram”. Tutto ciò è lo specchio feroce che riflette una società fortemente ipocrita e arretrata, che dimentica il valore di una donna, di una valida professionista, per futili motivi, come possono essere degli scatti che attengono al libero arbitrio sul proprio corpo, e nulla tolgono a tutto il resto. Il conflitto tra la libertà e il pregiudizio incrollabile di chi punta il dito su aspetti del tutto irrilevanti e slegati dalla sfera lavorativa.  (Dott.ssa Alice Mignani Vinci – Assistente Sociale, Criminologa Forense ed Educatore Professionale –  Avv. Angelo Ruberto – Avvocato Penalista in  Bologna)

 

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