PROCESSO MEDIATICO E DIRITTO ALL’OBLIO di Elena Maria COZZUPOLI

Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà morale e fisica viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore. Partiamo da una premessa,  imprescindibile e immanente, res propria degli   ordinamenti appartenenti ad uno stato di diritto: Il  giusto processo, è  garantito  a livello internazionale con la previsione di cui all’art.10 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dall’art.6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), e sul piano interno dall’art.111 della Costituzione italiana. Orbene, da più di un decennio  Information ed Entartainment sono diventati  un’unica parola  Infotainment  il che indica l’introduzione dell’informazione nel regno dello spettacolo o, per meglio dire, la spettacolarizzazione dell’informazione.  Il crimine, viene puntualmente trattato come  prodotto mediale, il che comporta che la “persona” perde il suo status  per diventare “personaggio”, e mi riferisco sia alla vittima che al presunto colpevole. Il Caso diventa così una sorta di fiction da gustare a puntate, con una forte presenza di familiari e conoscenti delle vittime, che condividono  il proprio dolore con il pubblico fornendo anche informazioni sulla vita della vittima. Da questo eccesso partecipativo, dalla serializzazione di casi simbolici che si prestano a un racconto prolungato e dall’aggiornamento delle informazioni in diretta,  nasce il “processo mediatico” che nulla ha a che fare con il “Giusto Processo”., purtroppo, quando informazione e intrattenimento si fondono, le notizie si riscaldano, e la vera informazione ( quella non spettacolarizzata!) diminuisce. Nella fase che processuale non è, del processo mediatico, l’immagine del’indagato viene massacrata e i dettagli della sua vita consegnati alla pubblica piazza, il che genera un meccanismo perverso ed irreversibile, e mi spigo,  in caso di assoluzione, dell’acclarato colpevole coram populo, il soggetto inevitabilmente si ritroverà con una reputazione distrutta dal sistema informativo, poiché vedrà la sua immagine perennemente collegata al processo che lo vedeva indagato e/o imputato poi ASSOLTO. In caso di condanna, invece, nulla vieta al colpevole di pretendere, una volta che abbia scontato la sua pena, di chiedere il diritto alla privacy in modo che la sua immagine venga riabilitata. Purtroppo, il sistema mediale non è facilmente controllabile, e le informazioni, una volta portate alla luce, rimangono attive sia nel mondo dell’informazione che nell’immaginario comune, soprattutto dopo un processo di grande visibilità mediatica; ciò posto questo tipo di informazioni possono essere pregiudizievoli per la persona che esce da un processo e che cerca di riabilitarsi. Ecco l’invocato  “diritto all’oblio” quel diritto di ciascun soggetto a essere “dimenticato”. Esso si concretizza nella rimozione di quei riferimenti, notizie, foto o video ritenuti lesivi per la reputazione di una persona e pregiudizievoli. Questo farebbe sì che la persona che in passato è stata coinvolta in un processo sia esposto a ulteriori danni al proprio onore e alla propria reputazione.  Nonostante il diritto all’oblio sia stato riconosciuto, non è direttamente applicato, perché la rimozione delle informazioni lesive negli archivi di giornali, blog, forum, motori di ricerca, ecc. non sono espressamente previste dalle sentenze pronunciate in aula di tribunale a favore dell’imputato, ma vengono direttamente richiesto dallo stesso in altra sede. È quindi auspicabile che si prenda atto automaticamente del problema nella sentenza che condanna o assolve l’imputato, come ulteriore fonte di garanzia. Il diritto alla privacy e alla riservatezza del richiedente anni dopo che il fatto sia avvenuto, dopo una sentenza di assoluzione o la fine di una pena, viene riconosciuto come un controlimite al diritto di cronaca, ma la strada affinché questo diritto sia effettivo e assoluto è ancora molto lunga.  (Elena Maria Cozzupoli, avvocato del foro di Reggio Calabria)

Gli stolti non hanno mai pace. Per essi c’è motivo di timore sia dall’alto che dal basso; la paura domina sia a destra che a sinistra; i pericoli sorgono sia dietro che davanti. Essi tremano di fronte a tutto; sono sempre impreparati e si spaventano persino all’arrivo dei soccorsi. 

Ma il saggio è sempre ben difeso e pronto contro ogni assalto. Egli non indietreggerà mai se lo assalgono la povertà, i lutti familiari, il disonore, il dolore: impavido, andrà contro queste forze avverse ed anche in mezzo ad esse. 

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