TELEFONATA OSCENA O VOLGARE

TELEFONATA OSCENA O VOLGARE...
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 ottobre – 19 novembre 2018, n. 52099
Presidente Di Tomassi – Relatore Bianchi
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata in data 14.7.2017 il Tribunale di Busto Arsizio ha dichiarato Ca. Gi. responsabile del reato di cui all’art. 660 cod. pen. in danno di Ca. Ma. An. e lo ha condannato alla pena di Euro 300 di ammenda, con la sospensione condizionale della pena.
1.1. La sentenza di primo grado ha fondato la ricostruzione del fatto sulla testimonianza di Ca. Ma. An., la quale aveva riferito di aver ricevuto, sulla propria utenza cellulare, una chiamata proveniente da utenza non identificata; nel corso di tale conversazione, che la donna aveva ritenuto di aver con un suo conoscente, l’interlocutore, di sesso maschile, aveva profferito espressioni a contenuto osceno e volgare, tanto che la donna aveva immediatamente interrotto la chiamata. Le indagini avevano consentito di accertare che l’utenza chiamante era intestata all’imputato, persona che la persona offesa aveva precisato di conoscere, seppur superficialmente.
Il primo giudice ha quindi ritenuto fosse provata l’identificazione dell’imputato come il soggetto chiamante, e il carattere molesto delle espressioni rivolte dall’uomo alla donna.
La pena è stata commisurata in Euro 300 di ammenda, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. Il difensore dell’imputato ha proposto atto di appello, trasmesso a questa Corte ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.; all’atto di impugnazione è stato allegata dichiarazione scritta proveniente dall’imputato medesimo .
Il secondo motivo concerne l’assenza di prova in ordina alla attribuzione all’imputato della telefonata ritenuta molesta.
Il terzo motivo riguarda l’assenza di dolo, essendo possibile che solo per errore l’imputato avesse chiamato la signora Ca., credendo di parlare, invece, con una cd. escort.
Il primo motivo riguarda la violazione dell’art. 660 cod. pen. per essere stata ritenuta la sussistenza della fattispecie pur in presenza di unica telefonata di brevissima durata.
Il quarto motivo concerne il mancato riconoscimento della esimente della speciale tenuità del fatto.
Il quinto motivo attiene al diniego delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, articolato genericamente, con motivi di merito e manifestamente infondati, va dichiarato inammissibile.
Si deve, innanzitutto, rilevare che la parte ha proposto atto di appello, qualificato, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. come ricorso per cassazione e quindi trasmesso a questa Corte per il giudizio.
1. In ordine alla identificazione dell’imputato come autore della telefonata di cui all’imputazione, il secondo motivo di impugnazione ha contenuto esclusivamente di merito, senza alcuna critica alla motivazione della sentenza impugnata nell’ambito, limitato ad un controllo di logicità, consentito nel giudizio di legittimità. Il motivo, a fronte dell’utilizzo da parte del primo giudice della massima di esperienza secondo la quale il telefono cellulare è a uso strettamente personale, non propone alcuna critica specifica, ma vi contrappone diversi dati fattuali – ” l’imputato era solito prestare il telefono cellulare ad amici e parenti”, ” … addirittura la stessa Telecom ha attivato migliaia di sim card a persone ignare …” – di cui non indica la fonte probatoria, nella prospettiva di un nuovo giudizio di merito, al di fuori dei limiti del giudizio di cassazione.
2. Anche il terzo motivo, concernente l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, prescinde da un confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, ma propone una diversa lettura del compendio probatorio, valorizzando il dato costituito dall’accertamento che l’imputato, con la medesima utenza telefonica, aveva fatto numerose chiamate a utenze chiaramente funzionali a comunicazioni a contenuto osceno.
Ancora, a fronte dell’argomentazione che valorizza la volontarietà dell’atto di chiamare una certa utenza telefonica e l’iniziale contenuto della telefonata, l’impugnazione ha contrapposto un altro dato fattuale, ritenuto significativo di un errore dell’imputato nella chiamata: si tratta di un argomento di merito che presuppone una ri-lettura del compendio probatorio, attività preclusa al giudice di legittimità.
3. Con il primo motivo viene denunciato il difetto di motivazione in ordine all’accertamento del carattere molesto dell’unica telefonata effettuata.
In particolare, il motivo sostiene che la valutazione del carattere molesto della telefonata non era stata fondata su alcun elemento di prova, ma solo, apoditticamente, affermata. Il motivo è articolato genericamente perché non si confronta con il dato, valorizzato dal primo giudice e fondato sul contenuto della testimonianza della persona offesa, costituito dal tenore delle espressioni rivolte dall’imputato alla donna. Si tratta di frasi a contenuto osceno e volgare, che il primo giudice ha ritenuto, secondo il comune sentire, gravemente fastidiose e offensive per la sensibilità dell’interlocutrice. Il motivo, che ha valorizzato solo che si sia trattato di un’unica telefonata, non ha proposto alcuna critica in ordine al principale argomento, fondato su un preciso dato fattuale, esposto dalla sentenza per ritenere molesta la telefonata. Si tratta quindi di motivo articolato solo genericamente.
4. Con i motivi quarto e quinto si denuncia la mancanza di motivazione in ordine alla esclusione della esimente di cui all’art. 131 bis cod. pen. e al diniego delle attenuanti generiche. I motivi sono manifestamente infondati, in quanto in capo al primo giudice non è sorto un obbligo di motivazione in ordine ai due punti oggetto dei motivi. Dall’esame delle conclusioni delle parti all’udienza dibattimentale emerge che non è stata formulata una specifica richiesta di applicazione dell’esimente né di riconoscimento delle attenuanti generiche. Ne consegue che il primo giudice non era tenuto a motivare sul punto, e quindi manifestamente infondata è la censura proposta con i motivi di ricorso menzionati.
5. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma a favore della Cassa delle Ammende, che, tenuto anche conto della originaria qualificazione della impugnazione come atto di appello, si reputa equo determinare in Euro 4.000, 00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro quattromila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17.10.2018.

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