GIURISPRUDENZA IN PILLOLE DELLA Dr.ssa Viola LUCIANI

Ud. 26.09.2019 – depositata il 17.07.2020- In tema di patteggiamento, Massima Cassazione Penale, Sezioni Unite, Sentenza n. 21368:

Le Sezioni Unite hanno affermato che, a seguito dell’introduzione della previsione di cui all’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., è ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione avverso la sentenza di applicazione di pena con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti.

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, avendo ravvisato un potenziale contrasto di orientamenti della giurisprudenza di legittimità, con Ordinanza, ha rimesso gli atti al Presidente.

Il Presidente aggiunto della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 610, comma 2, c.p.p., ha assegnato i ricorsi alle Sezioni Unite, che hanno sviscerato la questione dell’ammissibilità del ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione di pena su richiesta, ove sia dedotto il vizio di motivazione in ordine all’applicazione di misure di sicurezza, personale o patrimoniale.

Le Sezioni Unite, dopo aver ripercorso i diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, successivamente alle dovute considerazioni preliminari sul tema, indagata l’incidenza del nuovo comma 2-bis dell’art. 448 c.p.p., hanno accolto il motivo di ricorso riguardante l’omessa motivazione in ordine all’applicazione, nei confronti dei ricorrenti, della misura di sicurezza  della espulsione dal territorio dello Stato una volta espiata la pena: i ricorrenti, nell’accordo sulla pena, nulla avevano pattuito in ordine alla citata misura di sicurezza, pertanto non può essere loro precluso il ricorso per cassazione secondo la disciplina generale di cui all’art. 606 c.p.p..

Cassazione Penale, Sentenza n. 21579 ud. 17.07.2020 – depositata il  20.07.2020- In tema di mandato di arresto europeo, Massima:

In tema di mandato di arresto europeo, la Sesta sezione della Corte di Cassazione ha affermato che la nullità o la perdita di efficacia del provvedimento applicativo di una misura cautelare nei confronti del destinatario di una richiesta di consegna non incidono sulla legittimità della decisione favorevole alla consegna stessa, in quanto l’applicazione della misura cautelare non costituisce presupposto necessario del procedimento di cui alla legge n. 69 del 2005.

Il ricorrente, tra i motivi del ricorso, denunciava la violazione dell’art. 13, comma 3, della L. 60/2005, secondo cui “Il provvedimento emesso dal presidente della Corte d’Appello ai sensi del comma 2 perde efficacia se nel termine di dieci giorni non perviene il mandato d’arresto europeo o la segnalazione della persona nel SIS effettuata dall’autorità competente”, purché tale segnalazione “contenga le indicazioni di cui all’art. 6”; a riguardo, i giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come la mancata osservanza del termine di dieci giorni comporti sicuramente la perdita di efficacia della misura cautelare eventualmente applicata, tuttavia non incide sul potere dell’autorità giudiziaria italiana di decidere sulla richiesta di consegna e dunque sulla legittimità del provvedimento favorevole alla consegna che venga adottato successivamente.

Cassazione Penale, Sezioni Unite, ud. 16 luglio 2020, Informazione Provvisoria n. 11- In tema di violenza sessuale con abuso di autorità, Soluzione adottata:

L‘abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609-bis, comma primo, c.p. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.

La Terza Sezione della Suprema Corte, con Ordinanza n. 2888 del 2020, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione “se l’abuso di autorità di cui all’art. 609 bis comma primo cod. pen.. presupponga nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o se, invece, si riferisca anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali».

Con l’Informazione Provvisoria n. 11/2020 le Sezioni Unite hanno fatto chiarezza sulla questione sottoposta dalla Sezione remittente, asserendo che l’abuso di autorità, così come indicato nell’art. 609- bis, comma 1, c.p.p., presuppone una posizione di preminenza, che può essere anche di fatto e di natura privata, in capo all’agente; l’agente che strumentalizzi la propria posizione per costringere il soggetto passivo a compiere ovvero subire atti sessuali sarà perseguito per il delitto di violenza sessuale con abuso di autorità sia che l’agente rivesta una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico sia che rivesta una posizione di preminenza di fatto e di natura privata.

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