CORRIERE DELLA SERA: “IL DILEMMA DEI NOSTRI MARINAI

Di seguito l’articolo comparso sul Corriere della Sera a firma di Goffredo BUCCINI, relativo alle vicende che occupano le cronache ed i dibattiti televisivi di questi giorni afferenti i diversi casi di migranti vittime di naufragi nel Mediterraneo, eventi per alcuni dei quali sono in corso accertamenti da parte della magistratura. Ma  indipendentemente dall’esito degli accertamenti, una cosa  certa come dice Buccini: “Quali che siano le decisioni dei magistrati non potranno ledere una storia consolidata. Quella dei nostri marinai”.   Sui naufragi  di questi giorni, è intervenuto anche il Capitano di Vascello Gianluca D’Agostino – Capo della Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera – che dice. ” Da un punto di vista tecnico  si può entrare nell’area SAR libica, poiché sono acque internazionali, ma da un punto di vista normativo, una volta che giunge la richiesta d’emergenza, è l’autorità competente che deve operare, in questo caso la Libia. Quando abbiamo capito che la guardia costiera libica non sarebbe intervenuta, abbiamo assunto il coordinamento, anche se sarebbe toccato a Malta”. Il motivo per cui la Guardia Costiera non ha inviato le sue motovedette è semplice: le nostre unità Sar non avevano l’autonomia per arrivare e tornare in sicurezza mentre le altre navi della marina, oltre a metterci 20 ore per sopraggiungere, erano comunque impegnate in altri soccorsi nello Ionio. “  Precisa  D’Agostino: “Tutte le norme sono state applicate, quelle che c’erano oggi, c’erano anche ieri”. Anche perché “nessuno mi può costringere a non salvare vite in mare, neppure un Ministro, perché la responsabilità giuridica sarebbe mia”.

TESTO ARTICOLO: “Si torna a parlare delle missioni nel Mediterraneo dei mezzi militari italiani, che non si sono mai interrotte. Negli anni salvati migliaia di migranti e arrestati centinaia di trafficanti””

“La tragedia di Cutro ha smosso emozioni e attivato strategie, riportando il tema dei migranti in cima alle agende del governo e dell’opposizione. Ne è una visibile conseguenza lo spiegamento di forze nel cuore del Mediterraneo: con navi e vedette di Guardia costiera, Marina e Finanza impegnate a soccorrere migliaia di profughi alla deriva, pur senza riuscire a garantirne sempre la salvezza. L’ultimo naufragio al largo della Libia, accompagnato da nuove polemiche sulla tempistica del nostro ingaggio, ne è dolorosa prova.

Di colpo, le missioni di soccorso dei mezzi militari italiani, che non s’erano mai interrotte ma erano state silenziate da opzioni di tattica politica, tornano a essere sovraesposte a uso dei notiziari, come non accadeva da tempo. Non è difficile intuire dietro questa scelta due ragioni, almeno dal punto di vista dell’esecutivo. La prima, esterna: mostrare all’Europa, dove presto andremo a discutere di nuovo di flussi e ricollocamenti, che siamo impegnati con la dovuta umanità e abbiamo diritto a un sostegno non solo parolaio. La seconda, interna: recuperare consenso e spinta, dopo le critiche generate dalla strage del caicco a ridosso delle coste calabresi (in un clima tutt’altro che pacificato, come dimostra la baruffa scoppiata sulla festa con karaoke di Matteo Salvini).

C’è poi il fumus di un terzo motivo, assai delicato. E attiene all’onore del Corpo in questo momento più esposto, poiché, almeno sulla carta, sarebbe stato l’unico, con le sue motovedette inaffondabili, a poter uscire dal porto di Crotone per andare a salvare i migranti: la Guardia costiera. E qui è opportuno introdurre una distinzione. È aperta, proprio su quella catena di soccorsi mai messa in moto, un’inchiesta della Procura che in qualche modo ribalta la domanda retorica posta polemicamente da Giorgia Meloni all’opposizione e ai media: si può davvero pensare che da qualcuno sia partito l’ordine di non andarli a salvare? Ovviamente, no. Ma il quesito va rovesciato: come mai nessuno ha dato l’ordine di andarli a salvare? Su questo crinale, che passa attraverso il setaccio giudiziario di ricordi e comunicazioni tra uffici, si decide il caso singolo, sul quale tutto è possibile, naturalmente: persino provvedimenti penosi da infliggere.

Tuttavia, quali che siano le decisioni dei magistrati non potranno ledere una storia consolidata. Quella dei nostri marinai.

Li abbiamo visti chiedere latte caldo via radio per i bambini dei migranti appena strappati alle onde. Saltare, a rischio della pelle, dalle loro motovedette su agonizzanti carrette del mare per agganciarle con una cima. I giornalisti che dieci anni fa hanno seguito Mare Nostrum lo sanno, sì, chi sono davvero gli uomini e le donne della Guardia costiera. Coloro che ancora oggi assicurano alla terraferma più di metà dei disperati in viaggio nel Mediterraneo verso di noi, «circa sessantamila solo lo scorso anno», come ha ricordato il comandante generale Nicola Carlone in una accorata lettera ai suoi che si chiude con il motto del Corpo, «omnia vincit animus», il coraggio vince su tutto. Ce ne vuole parecchio di coraggio per sopportare «questi giorni tristi», come li definisce l’ammiraglio Carlone.

Fino al 2017, la policy era di considerare comunque a rischio un’imbarcazione affollata. Non solo. «Si usciva a prescindere dalla richiesta d’aiuto, una barca priva di requisiti di sicurezza era considerata comunque in distress», ti dicono i vecchi marinai. Era sovraffollato il caicco del naufragio? Era insicuro? Si poteva presumerlo? «Intanto uscivi», insistono quei marinai. Linea condivisa dall’Europa, allora. Ma a quel tempo il Corpo era candidato al Nobel per la pace. E non si trattava soltanto di buon cuore, perché stare in mezzo al Mediterraneo con le navi militari portò ai rilevanti risultati di Mare Nostrum (l’operazione italiana varata dopo il naufragio di Lampedusa del 2013 e incomprensibilmente definita «non fortunatissima» nella conferenza stampa del governo a Cutro). L’ammiraglio De Giorgi, allora comandante generale, lo spiegò al Parlamento a metà dicembre 2014, quando la missione era stata appena soppressa perché «costava troppo»: dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014 i suoi marinai avevano salvato 156.362 migranti in 439 interventi di ricerca e soccorso (Search and rescue, Sar); ma avevano anche arrestato 366 scafisti (a proposito della lotta ai trafficanti di uomini) e catturato nove navi madre (quelle che abbandonano in mare aperto i migranti consegnandoli a barche più piccole). Un’operazione Sar, insomma, poteva e può coincidere perfettamente con una di law enforcement , un intervento di salvataggio con uno di pubblica sicurezza. Per chi si propone di colpire quanti commerciano in migranti, questo dovrebbe diventare spunto di riflessione.

Che il clima sia poi cambiato, da cinque anni a questa parte, si può desumere anche da elementi esterni, senza avventurarsi in speculazioni politiche. Ciò che prima la Guardia costiera esibiva con fierezza ha cominciato a essere nascosto come una colpa: persino gli interventi di soccorso, messi in ombra per poter dimostrare che il vero traino dei salvataggi in mezzo al mare fossero le Ong (nulla di più falso, perché le organizzazioni non governative incidono per uno scarso 10% sugli sbarchi, il 40% sono arrivi autonomi e il restante 50% deriva proprio da interventi delle nostre navi militari). Persino dal calendario ufficiale i migranti sono spariti. Il trattamento riservato a navi del Corpo quali la Diciotti e la Gregoretti, tenute in stallo per giorni nelle estati del 2018 e 2019 come battelli pirata a causa del loro carico di profughi salvati in mare, ha scavato un solco doloroso. Si possono anestetizzare le coscienze? Si può indurre un riflesso condizionato a causa del quale certi interventi a mare o sono di polizia o non sono? È l’enigma del demonio. La magistratura darà dunque soluzione penale al caso concreto. La questione morale è invece risolta sin da subito. E la risposta sta nei mille salvataggi di domani e dei giorni che verranno: poco conta se oscurati o in mondovisione, sappiamo che ci saranno. Perché questi sono i nostri marinai, eredi di quel comandante Todaro che non abbandonava a mare nemmeno i nemici in guerra. E non ci sarà processo capace di affondarne l’onore. Il loro, no”. (Articolo del corriere.it –  www.corriere.it)

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