A PROPOSITO DELLE NAVI ONG E DELLA LORO ATTIVITA’ di Sandro PAJNO

SUNTO E PREMESSA: Il ruolo finora svolto delle ONG in attività di soccorso in mare ha posto dette organizzazioni, che ricordo essere di carattere privato, su un piano  paritetico di interlocutori diretti con uno Stato, segnatamente l’Italia, vista la casistica di recuperi in mare e successivi sbarchi nei porti nazionali (per lo più insulari e del meridione estremo d’Italia). Stupisce non poco la capacità economica evidenziata da dette organizzazioni in grado, come hanno dimostrato, di sostenere le ingenti spese che comportano non solo  il mantenimento di navi ed aerei ma anche il nutrito contenzioso originatosi con l’Italia, paese che comunque giammai ha fatto venire meno il dovere morale e giuridico dell’assistenza.  Quali  oligarchi (benefattori?) si celano e per quali finalità, dietro le dispendiose attività finora sostenute? E come si pone il legame tra le attività poste in essere dalla nave in acque internazionali  e la bandiera di cui la nave si avvale? Per quale ragione dette navi prediligono solo o prevalentemente  il territorio italiano come meta di sbarco? Tutte domande che non trovano risposte certe ed univoche o che  vengono talvolta lasciate senza risposte posto che, sempre gli Stati di cui la nave batte bandiera , nei fatti si sono disinteressate delle vicende e del destino di persone raccolte in alto mare a bordo di navi che sono la propaggine dello Stato proprio in virtù della bandiera concessa! In questo contesto che non esito a definire come una dei tanti facenti parte di un disegno preordinato di attacco agli interessi nazionali ( Libia, Egitto, Tunisia,made un Italy del cibo e dintorni, aggressione alla proprietà della casa ecc.ecc.), ritengo che il decreto Piantedosi  non costituisca la soluzione alle problematiche che ho sopra evidenziato ma gli  andrebbe riconosciuto che, usando un eufemismo calcistico, tenta di “riportare il gioco al centrocampo dopo anni di pressing subito nella nostra area di rigore”, dunque  si pone, a mio avviso,  come un  tentativo di sottrarre il Paese da una sorta di ricatto odioso e potrebbe costituire un primo passo, un tassello, di un percorso articolato che aspira a riportare l’Italia come interlocutore privilegiato nello scacchiere mediterraneo, avente anche l’obiettivo di coinvolgere quante più nazioni europee possibili per porre iniziative volte a frenare all’origine il malaffare che regola i flussi di genti che dal centro Africa si spingono verso l’Europa: in questo senso il nostro Paese, come membro dell’Unione Europea ma ancor più come Paese del confine marittimo sud della UE e in sintonia con l’Unione stessa, può svolgere un ruolo trainante e di centralità  per i diversi  aspetti  che costituiscono elementi di preoccupazione nel bacino mediterraneo, dalla sicurezza dei traffici marittimi e dei flussi energetici, alle iniziative  socio economiche a favore  dei Paesi centro africani. Il tutto deve necessariamente passare attraverso la soluzione politica della stabilizzazione della Libia. Al timido accenno nazionale di ristabilire l’equilibrio in campo, fa eco la favorevole accoglienza di tanti Paesi, dell’Africa Mediterranea e dell’area medio orientale, di plauso e saluto per un ritorno dell’Italia nello scacchiere del mare Mediterraneo.

Intervista al MANIFESTO e considerazioni ( a cura del Contrammiraglio (Ris) Alessandro Pajno)*

Intervengo in merito all’intervista recentemente rilasciata al quotidiano Il Manifesto dal collega ed amico Contrammiraglio Sandro Gallinelli ed apparsa su questo blog, precisando fin d’ora il mio favorevole parere in merito al “decreto Piantedosi”. Procediamo con ordine: a mio avviso, in punto di diritto, lo scritto del collega Gallinelli è certamente coerente e fondato e ripercorre  l’escursus normativo applicabile alla complessa situazione in questione. Altresì condivido le eccezioni sollevate dall’amico ed avvocato ( già Ufficiale, ora in congedo, delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera) Ruberto, eccezioni in merito alle quali mi accingo ad esplicitare ritenendo che la discussione, a mio avviso,  conduce irrimediabilmente sia  alla politica, in particolare a  quella operativa e di governo, sia alla visione geostrategica che la dovrebbe accompagnare. Il tema che trattiamo, da una parte riguarda il soccorso in mare, di cui tantissimo sì è detto e, d’altro canto, rileva  l’esigenza e la potestà  di uno Stato costiero di controllare , sempre in aderenza alle norme vigenti, ciò che accade nell’ambito del proprio territorio  al fine di scongiurare o mitigare quelle fonti esterne che potrebbero costituire o divenire  elementi anche potenziali di minaccia al proprio ordine interno, non ultimo l’entrata nel proprio territorio di masse migratorie.   Per rimanere in tema di diritto, mi riferisco alle previsioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare del 1982 che all’articolo 21 lettera h cita la legittimità dello stato costiero di adottare leggi e regolamentazioni (cioè esercitare un generale potere di controllo) verso navi che attraversano le proprie acque territoriali o verso i cui porti si dirigano, al fine di prevenire infrazioni alla propria legislazione anche in tema di immigrazione e tutela sanitaria. Altresì, aggiungo che, le norme in materia di soccorso marittimo (Convenzione SAR e discendenti strumenti normativi nazionali) sono nate e si sono sviluppate per il salvataggio di esseri umani che, incorsi in eventi / incidenti della navigazione, si trovano in  pericolo di perdere la vita, concetto di  soccorso in mare  che trova ovviamente applicazione anche nell’ambito dell’attuale fenomeno migratorio, fattispecie per la quale, proprio tra  le pieghe delle norme di diritto internazionale del mare, norme a tutela dei “rifugiati” e  dei minori, , si insinuano purtroppo aspetti che sembrerebbero veicolati e strumentali al fine  da  “indurre “ il naufragio o il pericolo di naufragio e far attivare tutta la filiera tecnico normativa ed operativa per salvare le vite (dei migranti) in mare. Salta quindi all’occhio, in modo lampante, il sospetto che , qualora le persone da salvare siano state “ad arte” collocate in aree di mare ed a bordo di unità fatiscenti in modo da divenire rapidamente soggetti da recuperare e salvare ai sensi del SAR , ci si possa trovare in realtà in  presenza di  attività che, sebbene condotte alla luce dei principi sacrosanti giuridici ed etici che caratterizzano il soccorso in mare, trovano invece a monte attività illecite(tratta di esseri umani/migranti) mosse da soggetti ed organizzazioni, anche transnazionali, finemente in grado di utilizzare , ai propri fini, la cornice della legalità. A tal riguardo, so che il collega Gallinelli conosce molto bene la problematica anche occulta dei flussi migratori (tema che nella  propria intervista  viene del tutto bypassata) e che l’evento SAR di cui si tratta è l’effetto , purtroppo indotto, di attività espletate come sopra ho accennato. Lo scenario si intorbida ulteriormente allorquando le attività di salvataggio in mare vengono svolte, come accade di fatto sistematicamente, da unità mercantili formalmente adibite ed abilitate  ad altri servizi ad es. pesca, diporto, navi rifornimento di installazioni e piattaforme (supply vessels), per lo più  non dedicate/specializzate e preposte  al servizio di soccorso, gestite da organizzazioni di carattere privato quali sono le ONG, che stazionano ai limiti delle acque SAR di un altro Paese. Mi permetto quindi di spingermi in qualche altra considerazione, che potrei definire uno sguardo oltre una  siepe irta di aghi e spilli, dove tra un equilibrismo e l’altro non mancano situazioni “graffianti”  o, sempre per rimanere in tema marittimo, di difficile navigazione in  quanto svolgentesi in acque ristrette e minate! L’analisi della ricchissima casistica sul tema ha mostrato che: a) le navi ONG, con il proprio “comportamento” (stazionamento al limite delle acque territoriali del paese da cui provengono i migranti  e contatti con soggetti appartenenti e provenienti da detti Stati) finirebbero per  costituire -di fatto- una sorta di richiamo ovvero “sponda” o, come è stato talvolta definito, “servizio taxi”; b) l’attività di “soccorso” effettuata dalle suddette navi avrebbe luogo, talvolta, senza che nessuna organizzazione statuale SAR ne assumesse il controllo operativo fin dall’inizio delle fasi di soccorso/recupero ( forse perché non prontamente informata) ma solo dopo aver completato il recupero dei migranti dal mare, anche a macchia di leopardo, allorquando veniva dichiarato l’evento e -soprattutto- l’intendimento di raggiungere un determinato Stato(prevalentemente l’Italia)richiedendone il “porto sicuro” ; c) le certificazioni di sicurezza di cui le navi esercite dalle ONG sono in possesso(quelle non  dedicate al soccorso in mare) le legittimano, nell’espletamento delle  condizioni normali di attività cui sono abilitate ed  ai sensi delle pertinenti disposizioni applicabili,  ad imbarcare  un numero certo e limitato di individui tra equipaggio  e  passeggeri e/o maestranze  senza poter eccedere tale numero a meno che, come avviene nelle  circostanze di un soccorso con  la prevalenza di forza maggiore, anche morale (soccorrere le persone), legittima  il Comandante della nave (rappresentante dell’armatore) a valutare a proprio insindacabile giudizio (divenendone il responsabile) la capacità delle proprie risorse e le condizioni cui potersi spingere e decidere quante persone poter accogliere a bordo, anche oltre al numero “formale” consentito dalle certificazioni di cui è in possesso la nave , senza pregiudicare la sicurezza e salubrità della propria nave/spedizione e del proprio equipaggio; d) evidenze investigative, trapelate o divulgate nel corso degli anni, sembrerebbero corroborare il sospetto che tutta la filiera del soccorso in mare ad opera delle  navi in questione avverrebbe con contatti-di varia natura-tra la costa, controllata dalle organizzazioni di trafficanti di esseri umani ed il bordo; e) l’attività in parola ha luogo per lo più  presso aree di giurisdizione SAR della Libia che , notoriamente , risulta una realtà statuale fuori  controllo e senza il rispetto di norme alcune; f) le navi ONG operanti non sempre battono bandiera italiana. Nella cornice anzidetta si sviluppa l’attività di recupero dei migranti, sistemazione a bordo (anche in modo precario), trasporto verso  un “porto sicuro” richiesto, il più delle volte, all’Italia benché siano nei pressi e sulla rotta di porti di altri Paesi facilmente raggiungibili .  Tutto ciò specificato ed avuto riguardo alla dimensione del fenomeno  e, soprattutto, alle evidenze che i porti del sud Italia ed insulari in particolare sono stati gravati da un enorme peso , ritengo che il decreto emanato dal governo non  NON contrasti con le attuali norme di diritto internazionale ma, invece, costituisca un tentativo di controllare e limitare gli effetti di un fenomeno di enormi proporzioni e che non può più essere lasciato all’arbitrio di organizzazioni non governative né gestito unicamente dall’Italia, come fin’ora avvenuto,  ma richiederebbe  invece uno sforzo corale a livello europeo con l’assunzione delle discendenti responsabilità tenuto conto che, il territorio a mare dell’Italia è anche confine della UE tutta! Mi permetto di aggiungere ulteriori considerazioni:  il decreto in parola , prevedendo che la nave (ONG) impegnata in attività di soccorso in mare, qualora intenda dirigere verso porti italiani,  contatti  immediatamente (cioè fin dall’inizio delle operazioni) l’organizzazione statale competente a coordinare e gestire l’ operazione SAR , riconosce il ruolo svolto dall’unità  di soccorso e dall’armatore della stessa (leggasi ONG), a prescindere dal tipo di servizio cui l’unità è abilitata,  ponendo però la nave sotto il controllo operativo dell’organismo SAR italiano intervenuto e prevedendo che la stessa    ottemperi a  precisi comportamenti (clausole) tra le quali quella di svolgere tempestivamente e senza ritardi l’operazione di soccorso: da qui si evincerebbe la condizione di effettuare e completare una unica operazione , evitando quindi di compiere autonome ulteriori analoghe operazioni non autorizzate (come ad es. ricognizioni e raccolta naufraghi e persone  da altre aree poste ad una certa distanza dalla prima) o se non specificamente richieste dall’autorità SAR; l’assegnazione del porto sicuro da parte  della competente Autorità nazionale che coordina l’operazione SAR avverrà non solo in funzione della prossimità e distanza nautica ma anche di altri fattori tra i quali, ad esempio la capacità di un porto e del  territorio circostante di consentire in modo sicuro l’approdo della nave, anche sotto il profilo dell’impatto sociale e sanitario e di ordine pubblico.  Ovviamente rimangono salvi i casi di forza maggiore che possono costituire   una deroga alle previsioni del decreto stesso, come ad esempio nel caso in cui la nave,durante la propria rotta di trasferimento verso l’Italia, dovesse imbattersi in altra  situazione definibile SAR, dove rimarrebbe l’obbligo del Comandante nave di informare il SAR nazionale e prestare soccorso, ottemperando altresì alle determinazioni da questo assunte.  In precedenza di articolo accennavo ad una   decisione e strategia politica che può riassumersi nella  necessità che la gestione della delicata questione dell’immigrazione e salvataggio in mare di immigrati divenga una precisa assunzione di responsabilità  da parte di tutti i Paesi europei , esigenza che richiede un percorso di modifica ragionata delle previsioni del c.d. “Sistema Dublino”( Convenzione e Regolameneti)da attuarsi in seno alle istituzioni europee dove ricercare, con la forza delle argomentazioni e credibilità, nuove sinergie nell’ambito di dette istituzioni verso il ruolo  del nostro Paese che, al riguardo, deve spendersi con coerenza nell’intero scenario mediterraneo dal quale, in un modo o nell’altro, nell’ultimo ventennio, siamo stati chiamati fuori (diciamo cosi…..): è un percorso non breve, laborioso ed ambizioso allo stesso tempo, per riportare l’Italia come player fondamentale nel contesto mediterraneo, ruolo di cui proprio i Paesi dell’Africa Mediterranea e dell’area mediorientale chiedono e sentono la necessità, stante l’indiscussa capacità  italica di mediare, parlare ed intendersi sul piano del multilateralismo.

 Alessandro Pajno, Contrammiraglio(Ris) del Corpo delle Capitanerie di Porto. Laurea in Scienze Politiche all’Università di Messina(vecchio ordinamento),  specializzazione in Diritto internazionale del mare presso l’Università Tor Vergata di Roma,  master di primo e secondo livello nel settore  dell’intelligence e della homeland  security presso il Link Campus University of Malta, a Roma . Dal 1982, 35 anni di servizio, prestato  in numerose Capitanerie di Porto nonché presso Reparti dello Stato Maggiore della Marina e con periodi interforze in occasione della 1^guerra del Golfo e della Crisi nella ex Jugoslavia. Nel  1991-92  ha preso parte, con incarico operativo, alla prima missione all’estero del dopoguerra, effettuata dalle Capitanerie di Porto, in Albania. Segue e coltiva l’interesse per la geopolitica.

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