MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: INTERVIENE LA CASSAZIONE di Leila BENSALAH

La Corte di Cassazione penale, Sezione VI, con la sentenza 5 settembre 2022, n. 32575 ha negato la sussistenza dei maltrattamenti in presenza di un divorzio, riconducendo le condotte incriminate agli atti persecutori. Tuttavia, non sembra essere ancora chiaro che la distinzione tra le due fattispecie non passa tanto da componenti formali, come ad esempio per l’appunto l’esistenza o meno di un divorzio, quanto piuttosto dalla sussistenza o meno di una vera e propria convivenza quale presupposto del fatto, convivenza che può essere interrotta anche mediante la separazione addirittura di fatto. Mentre la Corte di appello aveva qualificato alcuni episodi offensivi dell’integrità personale della vittima come maltrattamenti in famiglia, in quanto, nonostante il divorzio, permaneva un “vincolo familiare di fatto”, in virtù “della necessità di gestione ed educazione in comune del figlio”, la Corte di cassazione ha qualificato gli stessi episodi come ipotesi aggravata di atti persecutori (art. 612, comma 2, c.p.), precisando che “quando la condotta è in danno del coniuge, la permanenza cessa allorché interviene il divorzio, cui non segue la ricomposizione di una relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà reciproche”. Ed infatti, nel momento in cui si fa riferimento all’intervento del divorzio, il ragionamento della Corte suprema finisce per restare imbrigliato in una logica formalistica che è alla fin fine identica a quella della Corte di appello: ma l’esistenza o inesistenza di un divorzio di per sé nulla dicono in ordine al tipo di relazione sostanziale che intercorre tra autore e vittima. Piuttosto, presupposto dei maltrattamenti deve essere una relazione intersoggettiva forte caratterizzata, se non da una coabitazione, quanto meno da una vera e propria convivenza contraddistinta da un progetto comune di vita che si concretizza nella sua condivisione quotidiana. A favore di questo orientamento sussistono diversi argomenti. Anzitutto, di recente è stata la stessa Corte costituzionale che nella sentenza n. 98/2021, dopo aver criticato il concetto debole di convivenza, basato sulla mera relazione sentimentale che implica l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza, ha adottato un concetto forte basato addirittura sulla coabitazione.  In secondo luogo, è la stessa lettera dell’ art. 572 c.p. che dopo aver fatto riferimento al “familiare” aggiunge “o comunque convivente”. In terzo luogo, è il disvalore dei maltrattamenti che si appunta sulla circostanza che la particolare relazione deve essere stringente potendo diventare l’ambiente ideale per comportamenti particolarmente aggressivi, anche perché più la relazione è stringente, più le dinamiche relazionali possono farsi “perverse”, risultando oltretutto difficile rompere tale relazione. Con la conseguenza che, in questa prospettiva, la particolare relazione istituisce e fonda lo stesso disvalore del fatto, in ragione di una sorta di connessione “genetica” che intercorre tra la relazione e l’aggressione, per cui, nella sostanza, si pone l’esigenza di un intervento da parte dello Stato finalizzato a interrompere la relazione. Infine, e conseguentemente, se quanto detto vale per le relazioni in atto, a maggior ragione vale per le relazioni che sono senz’altro esaurite, non solo sul piano della convivenza, ma anche su quello affettivo. A ben vedere, questione davvero problematica riguarda il trattamento delle ipotesi in cui i maltrattamenti iniziano durante la convivenza e poi proseguono anche dopo la cessazione della convivenza. Se si ritiene che la relazione qualificata sussista anche in assenza di convivenza, con il venire meno della convivenza sono comunque i maltrattamenti a perdurare. Se invece si ritiene che la convivenza sia presupposto indispensabile, a rigore si vengono a configurare due diversi reati rispetto ai quali si potrebbe comunque accedere all’idea di un assorbimento degli atti persecutori nei maltrattamenti in famiglia. Una cosa è certa, se le condotte aggressive vengono realizzate soltanto dopo la cessazione della convivenza, questi fatti devono essere ricondotti alla fattispecie di atti persecutori.

Leila BENSALAH: Avvocato del Foro di Vicenza, Social Media Marketing ed addetta alla comunicazione dell’Associazione “Rete Nazionale Forense” (Mail: [email protected]

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