PROFILI PENALI DEL GASLIGTING di Valentina VARGIU

Con il termine “gaslighting” si indicano atteggiamenti di manipolazione psicologica tali da far dubitare la vittima che li subisce della sua stessa memoria e della sua percezione. Normalmente, il c.d. “gaslighter” agisce negando quanto osservato  o inscenando bizzarrie allo scopo di distorcere la realtà. Il termine deriva dal titolo di un’opera teatrale del 1938 intitolata Gaslight, letteralmente “lampada a gas”, del drammaturgo Patrick Hamilton, successivamente adattata anche cinematograficamente nel 1940 da Hitchcock e nel 1944 in una pellicola italiana. In quest’opera, il marito cerca di “far impazzire” la moglie manomettendo, appunto, una lampada a gas in modo da affievolirne la luce. Quando la moglie lo fa notare, il marito nega che ci siano state variazioni luminose e sostiene che la moglie si stia inventando le cose, fino a quando la stessa non finisce per dubitare della sua propria percezione. A ben vedere, il “gaslighting” costituisce una forma di violenza psicologica e di manipolazione mentale a tutti gli effetti. Si tratta di una pratica insidiosa, spesso perpetrata in ambiente domestico e difficilmente riconoscibile perché non caratterizzata da scatti d’ira, quanto più da comportamenti subdoli tesi a ottenere il controllo sulla persona manipolata, la quale, dubitando di sé, raramente riesce a riconoscere l’abuso. Da un punto di vista giuridico e sub specie penalistico, il “gaslighting” non è un reato autonomo nell’ordinamento italiano. In realtà, in passato, si sarebbe forse potuto sussumere questo comportamento nel reato di plagio di cui all’art. 603 c.p. il cui disposto prevedeva che: “Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”. Il reato di plagio, nondimeno, è stato dichiarato incostituzionale con la nota sentenza n. 96 dell’8 giugno 1981 perché ritenuto in contrasto con gli artt. 21 e 25 della Costituzione e più in particolare con il principio di tipicità. All’abrogazione dell’art. 603 c.p. non seguì una normativa successiva che riformulasse il reato in oggetto e da ciò dipese inevitabilmente un vuoto normativo sul punto; vuoto in cui ricade, in effetti, anche la pratica del “gaslighting”. Al mancare di una vera e propria fattispecie, il comportamento manipolatorio si può ricondurre, ove ne ricorrano i presupposti, ai reati di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) o di atti persecutori (art. 612bis c.p.). Affinché si integrino i presupposti per il reato p. e p. dall’art. 572 c.p., la Giurisprudenza (in particolare si veda sul punto: Cass. Pen., Sez. VI, sent. N. 4849 del 2 febbraio 2015) ritiene, infatti, che non necessariamente debbano verificarsi lesioni, percosse, ingiurie o minacce, ma anche “vessazioni reiterate e tali da cagionare sofferenza, prevaricazione ed umiliazioni, in quanto costituenti fonti di uno stato di disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di esistenza”. Il “gaslighting” può invece costituire una delle pratiche compartecipi negli atti persecutori di cui all’art. 612bis c.p. quando sussistano gli elementi previsti dalla fattispecie: il perdurare dello stato di ansia, paura o il fondato timore per la propria incolumità o di un congiunto o partner, oppure laddove vi sia alterazione delle proprie abitudini di vita. In conclusione, i comportamenti del gaslighter costituiscono certamente vessazioni psicologiche, nondimeno il vuoto normativo potrebbe rappresentare un ostacolo dal punto di vista della persecuzione penale di questo tipo di abuso. Un futuro approfondimento giurisprudenziale potrebbe senza dubbio fornire un utile contributo, ove il legislatore non intervenga con l’introduzione di una fattispecie ad hoc.

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Valentina Vargiu è praticante abilitata dell’Ordine degli Avvocati di Bologna. Originaria di Pistoia, si è laureata in Giurisprudenza all’Università di Bologna nel marzo 2021 con una tesi in Istituzioni del Diritto Penale sul reato di Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. Attualmente svolge la pratica forense occupandosi di diritto penale e civile delle persone fisiche ed è borsista di ricerca per il programma ER4Justice presso la Procura Ordinaria di Bologna.

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