
Messaggi incessanti all’ex per ottenere il mantenimento dei figli? È molestia? La Cassazione si Pronuncia: Un Caso di Famiglia che Fa Riflettere”
Nuovo approfondimento giuridico a cura dell’avvocata Assunta Aiello. Recentemente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44477/24, ha affrontato un caso che solleva interrogativi cruciali sul confine tra molestie e legittime richieste di mantenimento. Questo pronunciamento mette in evidenza non solo la delicatezza delle dinamiche familiari, ma anche le complessità giuridiche che ne derivano, rendendo necessario un approfondimento su tematiche di grande attualità.
Il Caso in Esame: La vicenda ha avuto inizio quando una donna ha inviato numerosi messaggi, spesso con toni anche offensivi, al proprio ex compagno per sollecitare il pagamento del mantenimento stabilito dal Tribunale civile per i figli. L’ex compagno, esasperato, ha sporto denuncia per molestie, presentando un’ampia documentazione di messaggi, vocali e registrazioni. Il Tribunale di Locri, pur riconoscendo la condotta molesta, ha assolto la donna ai sensi dell’art. 131-bis del Codice Penale, ritenendo il fatto di tenuità. Tuttavia, tanto l’imputata quanto il Procuratore della Repubblica hanno impugnato la sentenza, portando il caso alla Corte di Cassazione. Le Argomentazioni delle Parti: L’imputata ha sostenuto che i suoi messaggi erano motivati dalla necessità di ricevere il mantenimento e che i toni offensivi derivavano dalle tensioni familiari. Ha inoltre contestato la mancanza di prove a supporto della reciprocità delle offese, sostenendo che l’invio di un messaggio non costituisse, di per sé, molestia se il destinatario non lo leggeva. D’altro canto, il Procuratore ha evidenziato che la condotta della donna fosse abituale, caratterizzata da una pluralità di molestie, e che quindi non potesse applicarsi la norma sulla tenuità del fatto.
La Decisione della Cassazione: La Corte ha rigettato il ricorso dell’imputata, affermando che il giudice di merito avesse correttamente valutato la condotta come “petulante”. È stato sottolineato che l’esercizio di un diritto, in questo caso il diritto a ricevere il mantenimento, non esclude la commissione di un reato se esercitato in modo invadente e continuo. La Cassazione ha richiamato il principio secondo cui “l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo” (art. 660 c.p.). Inoltre, il ricorso del Procuratore è stato accolto, stabilendo che l’istituto della tenuità del fatto non si applica a reati abituali. La Corte ha quindi annullato la sentenza del Tribunale di Locri limitatamente all’applicazione dell’art. 131-bis, rinviando per un nuovo esame della questione.
Riflessioni Finali: Questo caso pone in evidenza l’importanza di distinguere tra legittime richieste di adempimento e condotte moleste, evidenziando come, nelle dinamiche familiari, la comunicazione possa facilmente oltrepassare il confine della legalità. La sentenza della Cassazione chiarisce che le molestie, anche se motivate da esigenze legittime, possono configurarsi come reato se esercitate in modo invadente.