RISARCIMENTO DANNO PATRIMONIALE DA PREMORIENZA PER ERRORE MEDICO

La Disciplina del Risarcimento del Danno Patrimoniale in Caso di Premorienza Causata da Errore Medico – Cassazione Civile, Sez. III, 09.12.2024.

La recente ordinanza della Corte di cassazione Civile, Sez. III, n. 31684 del 9/12/2024, offre uno spunto importante per riflettere sui criteri di quantificazione del danno patrimoniale in caso di premorienza causata da errore medico. Il tema si sviluppa attorno alle distinzioni tra danno emergente e lucro cessante, nonché sulla rilevanza del concetto di “rischio latente” per la liquidazione del danno patrimoniale e non patrimoniale. La giurisprudenza distingue il danno emergente dal lucro cessante come componenti fondamentali del danno patrimoniale. Il primo riguarda le spese sostenute dal danneggiato, ad esempio per cure mediche o adattamenti dell’ambiente domestico. Il secondo si riferisce invece alla perdita di redditi futuri o di opportunità economiche, derivante dall’illecito subito. Nel caso analizzato, il danno emergente comprendeva i costi affrontati per l’assistenza sanitaria e le necessità di cura della vittima, mentre il lucro cessante era legato alla perdita della capacità lavorativa e ai mancati redditi futuri che il danneggiato avrebbe potuto percepire se non fosse intervenuto l’illecito. La Corte, esaminando queste due componenti, ha sottolineato la necessità di una valutazione rigorosa e personalizzata. Il concetto di rischio latente e la sua applicazione limitata al danno non patrimoniale: Uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza è la chiara distinzione tra l’applicabilità del concetto di rischio latente al danno non patrimoniale e la sua esclusione per il danno patrimoniale. La Corte afferma: “Il rischio latente — rappresentato dalla potenziale progressione offensiva insita nella lesione permanente — è un criterio utilizzabile per valutare il danno non patrimoniale, in quanto incide sulla qualità della vita e sulle sofferenze morali della vittima. Tuttavia, tale concetto non è applicabile per la determinazione del danno patrimoniale, che richiede parametri oggettivi e specifici legati alla perdita economica concreta.” Questo passaggio esclude ogni automatismo che porti a un incremento del risarcimento patrimoniale basato su fattori di incertezza, ribadendo che il risarcimento deve essere ancorato a elementi prevedibili e verificabili, come la durata media della vita e il reddito medio nazionale. Così motiva la Corte: “Pertanto, sotto il profilo del rispetto del principio di integralità del risarcimento (art. 1223 c.c.), la circostanza che l’invalidità permanente sia cagionata dall’illecito e che questo abbia negativamente inciso sulla stessa aspettativa di vita in concreto della persona danneggiata, comporta che i danni-conseguenza da essa derivanti, quello biologico e quello patrimoniale da mancata remunerazione dell’attività lavorativa, in quanto entrambi proiettantisi nel futuro, debbano trovare criteri sostanzialmente omogenei di liquidazione. In tal senso, come si è visto, nella liquidazione del danno biologico la valorizzazione del dato della minore speranza di vita si lega al correttivo della inclusione del “rischio latente” nella costruzione del barème, ma là dove ciò non accada la liquidazione stessa deve effettuarsi tenendo conto del parametro della durata media nazionale della vita. Nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa il correttivo anzidetto non è, logicamente, utilizzabile, non essendovi un barème medico-legale che misuri la perdita della capacità produttiva di reddito lavorativo, e, pertanto, residua e trova applicazione il criterio della durata media nazionale della vita”. L’irrilevanza della premorienza nel risarcimento del lucro cessante. Nel caso in esame, la premorienza era stata determinata dall’illecito, ma la Corte ha escluso che ciò potesse ridurre il risarcimento, seguendo il principio di integralità. Essa ha chiarito: “L’aspettativa concreta di vita del danneggiato non può giustificare una riduzione del risarcimento patrimoniale, poiché il parametro deve essere quello della durata media della vita, al fine di evitare che il responsabile tragga vantaggio dalla condizione che egli stesso ha determinato.” Questa affermazione conferma che, anche in presenza di una speranza di vita ridotta, il calcolo deve essere effettuato tenendo conto delle opportunità economiche che il danneggiato avrebbe avuto se avesse vissuto una vita media, garantendo così una piena compensazione. “Non è pertinente con le argomentazioni che precedono il rilievo dell’Azienda ULSS per cui, in tal modo, si verrebbe ad “attribuire al risarcimento una funzione punitiva” e non già riparatoria e ciò sarebbe stato evidenziato da questa stessa Corte “in materia di (non risarcibilità del) danno tanatologico” anche con la più recente Cass. n. 28989/2019. Si è, infatti, già messo in risalto come nelle ipotesi in esame operi, in funzione riparatoria e non già punitiva, il principio di integralità del risarcimento e il precedente giurisprudenziale richiamato dall’Azienda ULSS non smentisce affatto tale approdo, avendo deciso sul ben diverso caso del “danno, iure haereditario, per la perdita, da parte della de cuius, del bene della vita in sé considerato, ossia di un danno in sé diverso, tanto dal danno alla salute, quanto dal c.d. danno biologico terminale e dal c.d. danno morale terminale” (pp. 14/15 della citata Cass. n. 28989/2019). Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: il danno patrimoniale futuro da mancato guadagno per la perdita totale della capacità di lavoro in conseguenza dell’illecito va liquidato facendo riferimento al parametro dell’aspettativa di vita media del soggetto danneggiato e non alla sua minore aspettativa di vita in concreto accertata”. La rilevanza della premorienza nel risarcimento del danno emergente . Nel caso del danno emergente, come nel caso in esame relativo alle spese mediche e di assistenza, l’esborso è correlato al periodo di vita residua della vittima. Tale danno è intrinsecamente legato alla permanenza in vita del danneggiato: la morte pone naturalmente fine alla necessità di tali spese, escludendo ogni ulteriore pregiudizio patrimoniale. “È, infatti, corretta la decisione della Corte territoriale di liquidare, in favore di Ca.Ga., il danno futuro per le spese mediche e di assistenza tenuto conto dell’aspettativa di vita residua di anni 20 e non della “vita media di un soggetto di sesso femminile (82 anni)”. Trova, infatti, applicazione il principio, consolidato, per cui (secondo quanto qui specificamente interessa) il danno permanente futuro, consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante (nella specie, per spese mediche e di assistenza a persona invalida permanente al 95%), deve essere liquidato, ai sensi dell’art. 1223 c.c., stimando il costo presumibile delle prestazioni di cui la vittima avrà bisogno in considerazione delle menomazioni da cui è afflitta, rapportato alla durata presumibile dell’esborso e, quindi, per il numero di anni che lo stesso verrà sopportato (tra le altre: Cass. 11393/2019; Cass. n. 17815/2019; Cass. n. 13881/2020; Cass. n. 13727/2022; Cass. n. 16844/2023). Di qui, pertanto, la coerente precisazione della citata Cass. n. 11393/2019 (che ha confermato la decisione impugnata in punto di liquidazione dell’importo annuale delle spese mediche dovute per assistenza fisioterapica per la prognosi di durata della vita del danneggiato, calcolata in misura pari a 35 anni) secondo cui, ai fini della liquidazione di detto danno, rileva non la speranza di vita media nazionale, ma, per l’appunto, la prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato (per cui al criterio della “vita media” potrà farsi riferimento soltanto nel caso in cui non sia possibile una prognosi specifica sulla durata della vita del danneggiato medesimo: Cass. n. 13727/2022). Tale principio non confligge con la diversa conclusione che, come detto (al par. 15, che precede), risulta pertinente al danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa, poiché vengono in rilievo, secondo la distinzione posta dallo stesso art. 1223 c.c., danni diversamente caratterizzati. Nell’un caso (danno patrimoniale futuro da mancata remunerazione dell’attività lavorativa) si tratta di un “mancato guadagno” e, quindi, della perdita di una utilità futura che il danneggiato avrebbe acquisito se fosse rimasto in vita più a lungo e ciò gli è stato, però, impedito dall’illecito; nell’altro caso (danno patrimoniale futuro per spese di assistenza), si configura un “danno emergente” (così esplicitamente la citata Cass. n. 17815/2019), ossia un esborso che sarà necessario sostenere, ma soltanto finché si è in vita, per cui il sopraggiungere della morte, anche se per effetto dell’illecito, farà comunque cessare quella perdita patrimoniale, con la conseguenza che non sarà più apprezzabile l’esistenza di un danno risarcibile. Va, dunque, ribadito (e precisato) il seguente principio di diritto: il danno patrimoniale permanente futuro consistente nella necessità di sostenere una spesa periodica vita natural durante è un danno emergente e, quindi, la relativa liquidazione, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve avere come parametro temporale di riferimento la durata presumibile dell’esborso e, quindi, il numero di anni per i quali lo stesso verrà sopportato”. (Fonte: Iuremed Academy Accademia digitale per lo studio e la pratica della Responsabilità Medica. www.iuremedacademy.it )

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