RESPONSABILITA’ MEDICA: DANNO PARENTALE

Con recente decisione (27142/2024) la Suprema Corte è tornata ad affrontare temi cruciali nelle controversie di medmal, quali l’onere della prova, ed i presupposti per il risarcimento del danno parentale. Infatti, la S.C. innanzitutto ha ribadito che il predetto danno rinviene a proprio fondamento una presunzione iuris tantum, che a sua volta si basa sul criterio del “id quod plerumque accidit” (Sez. Un. n. 26972/2008) nel contempo chiarendo che, in tali controversie, l’accertamento del nesso causale (in termini di causalità materiale) va scrutinato con il criterio della preponderanza dell’evidenza. Quanto al primo aspetto, la S.C. ha ribadito che la sopra ricordata presunzione opera in favore dei familiari più stretti, come il coniuge e i figli, per cui alla luce di tale principio eventi come sofferenza e mutamento di condizioni ed abitudini di vita, che si verificano in conseguenza del decesso un familiare stretto convivente, sono tutt’altro che imprevedibili, rappresentando invece, proprio in base allo id quod plerumque accidit, eventi di abituale (o quasi) verificazione, che proprio in quanto tali non richiedono una specifica dimostrazione, per cui a meno che il soggetto che si assume autore del danno non contesti tali circostanze, esse non necessitano una prova specifica. In caso contrario, il danneggiante è chiamato ad allegare e provare le circostanze che conducono ad escludere la sussistenza di un rapporto affettivo con il de cuius, la cui esistenza – con il danno conseguente – deve presumersi allorquando, per un verso, sussistano elementi quali un rapporto di convivenza e la giovane età dei figli, e, dall’altro, il danneggiato non riesca a dimostrare che non sussisteva, nello specifico, un saldo legame di affetti, poichè solo in tal modo potrebbe evitare la condanna al ristoro. Quanto al secondo aspetto, la Corte ha ribadito che l’onere di provare una causa imprevedibile ed inevitabile grava sulla struttura (ovviamente sempre che chi si pretende danneggiato sia stato in grado di provare il c.d. “primo ciclo causale”) prova in presenza della quale la mera allegazione, da parte del debitore, che la causa dell’evento era da individuarsi o nelle condizioni soggettive del paziente (gravissime patologie di cui era già portatore) ovvero in altri elementi e circostanze sulle quali il debitore e/o i suoi ausiliari non avevano alcun potere di intervento e controllo non basta – se non seguita dalla relativa dimostrazione – ad escluderne la responsabilità. Pertanto in tali ipotesi, in presenza, da un lato, di una dimostrazione del legame eziologico e, dall’altro, della mancata dimostrazione di una causa esterna, diversa ed indipendente dalla condotta medica, l’unica e logica conclusione è quella per cui debba ritenersi che, in applicazione del criterio della preponderanza dell’evidenza, l’evento sia stato causato “più probabilmente che non”, da una errata condotta medica, risultando in tal modo integrata la responsabilità del debitore della prestazione.

Gianluca CASCELLA: già Professore incaricato di diritto processuale civille; avvocato cassazionista esperto di responsabilità civile e medmal; revisione e redazione conto terzi atti di appello, ricorsi per cassazione ed impugnazioni.

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