OGGETTO: TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI (RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972) – DETRAZIONI

Informazione su avvenuta risoluzione di contrasto – ricorso n. 5762/2021. Ristrutturazione o manutenzione di immobili di proprietà di terzi – Diritto al rimborso IVA – Condizioni – Strumentalità degli immobili all’attività d’impresa o professionale.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza n. 13162 del 14 maggio 2024, Rv. 671381-01 (Pres. Pasquale D’Ascola, Rel. Enrico Manzon, PM Stanislao De Matteis – concl. Conf.; in causa Agenzia delle entrate contro Corrado Giacinto Becchetti, n. Reg. Gen. 5762/2021, resa all’udienza del 26 marzo 2024; n. Reg. Sez. 119/2024) hanno enunciato il seguente principio di diritto così massimato da questo Ufficio:
«L’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta». La questione assegnata alle Sezioni Unite era la seguente: se il soggetto passivo abbia diritto al rimborso dell’IVA assolta per l’esecuzione di opere su beni di terzi di cui abbia la detenzione e, più in generale, se a tal fine i presupposti della detrazione e del rimborso di tale imposta debbano considerarsi o meno gli stessi. Il problema si era posto nell’ambito di un giudizio nel quale un contribuente aveva impugnato l’atto di recupero di un rimborso IVA con irrogazione di sanzioni: la pretesa impositiva e la relativa sanzione si fondavano sul fatto che il rimborso era stato chiesto dal contribuente per IVA afferente alla effettuazione di lavori di ristrutturazione di fabbricati ed impianti su un terreno che il contribuente stesso deteneva in virtù di un contratto di locazione stipulato con un soggetto terzo e non quale proprietario, quindi al di fuori della previsione di cui all’art. 30, terzo comma, lett. c), d.P.R. 633/1972. In passato, le Sezioni Unite avevano affermato che l’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto alla detrazione IVA anche per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta, anche se potenziale o di prospettiva e pur se, per cause estranee al contribuente, detta attività non possa poi in concreto essere esercitata (Sez. U, sentenza n. 11533 dell’11/05/2018, Rv. 648545-01). Tale decisione, tuttavia, come precisato nell’ordinanza interlocutoria, aveva ad oggetto il diritto alla detrazione e, almeno non direttamente, quello del rimborso dell’IVA. Pertanto, persisteva il contrasto in ordine alla profilata questione ossia, nel suo punto ermeneutico centrale, se i presupposti per la detrazione IVA siano, sostanzialmente, gli stessi del rimborso dell’imposta medesima, con specifico riguardo all’IVA afferente ad operazioni imponibili passive relative a beni di proprietà di un soggetto che è terzo rispetto al rapporto d’imposta. Un primo orientamento, che negava tale equivalenza, aveva affermato che, in tema d’IVA, il rimborso dell’eccedenza detraibile d’imposta di cui all’art. 30, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis vigente) non riguarda le spese incrementative e i miglioramenti su beni appartenenti a terzi non suscettibili di essere rimossi al termine dell’utilizzo, siccome non costituenti acquisto ai sensi della disposizione citata, dovendo la cessione dei beni comportare, a tali fini, l’acquisizione, in via definitiva, dei poteri di disposizione, godimento e utilizzo tendenzialmente illimitato tipici del proprietario, oltre all’assunzione dei relativi rischi, mentre il bene non deve essere soltanto strumentale, ma deve anche rientrare nella categoria delle immobilizzazioni (Sez. 5, ordinanza n. 23667 del 28/10/2020 – Rv. 659476–01, Sez. 5, sentenza n. 24779 del 4/12/2015 – Rv. 637641-01). In particolare, l’orientamento in esame restringeva la portata applicativa della previsione di cui al citato art. 30, basandosi essenzialmente sulle espressioni “acquisto” e “ammortizzabili” e negando che fosse rimborsabile l’IVA assolta in relazione a beni non acquistati, vale a dire dei quali il soggetto passivo non avesse acquisito la proprietà o altro diritto reale e che per tale ragione non rientrassero tra i beni dell’impresa ammortizzabili, ancorché si trattasse di beni strumentali all’esercizio della impresa medesima. Il concetto di “bene ammortizzabile” veniva, quindi, enucleato dagli artt. 102 e 103 del d.P.R. n. 917 del 1986 e dall’art. 2424, lett. B), I e II, c.c., come bene iscrivibile tra le “immobilizzazioni” (materiali o immateriali), che secondo i principi contabili OIC (24, 16), sono riferibili a costi ad utilità pluriennale per l’acquisto di beni durevoli, escludendosi che possa considerarsi a tal fine sufficiente la mera “strumentalità” del bene. Una diversa opzione ermeneutica, invece, predicava l’equivalenza di presupposti dei due diritti in oggetto, con l’unica condizione della “strumentalità” dei beni interessati per il soggetto passivo, affermando che, in tema di IVA, l’esecuzione, da parte del comodatario, di opere di ristrutturazione e manutenzione sull’immobile detenuto in comodato, indipendentemente dalla loro autonoma funzionalità o asportabilità al termine del periodo contrattualmente stabilito, dà diritto alla detrazione dell’imposta o, in mancanza, all’alternativo diritto al rimborso, allorquando sussista un nesso di strumentalità con l’attività di impresa o professionale, anche se potenziale o in prospettiva, da questi svolta (Sez. 5 -, sentenza n. 27813 del 22/09/2022 – Rv. 665674-01). Tale orientamento interpretativo assegnava un valore tendenzialmente assoluto al principio eurounitario di neutralità, nel senso che, in ogni caso, il soggetto passivo dell’imposta non può esserne inciso al pari di un consumatore finale. La pronuncia delle Sezioni Unite qui segnalata ha, quindi, esaminato i due orientamenti contrapposti, ritenendo innanzitutto di dover confermare – anche in relazione alla necessità di una interpretazione conforme al principio di primazia del diritto unionale e, quindi, ai principi espressi dalla Corte di Giustizia UE – l’orientamento più estensivo favorevole all’equivalenza dei presupposti nei due casi di detrazione e di rimborso dell’IVA. In particolare, è stato evidenziato che il “fondamento primo” della disciplina unionale dell’imposta sulla cifra d’affari è il principio di neutralità, inteso anzitutto nel senso che il tributo non può incidere sui soggetti passivi, ma soltanto sul consumatore finale. Questa è la logica dell’imposizione sul consumo di beni o servizi ceduti/prestati da un soggetto economico nel territorio fiscale dell’Unione, sempre alla condizione che si tratti di beni/servizi scambiati all’interno del modulo attuativo dell’imposta de qua (quindi con le eccezioni che derivano, ad esempio, dalle esenzioni ovvero dalla fatturazione per operazioni inesistenti, con le relative limitazioni alla detraibilità dell’IVA). Pertanto, all’espressione “acquisto (…) di beni ammortizzabili”, utilizzata dal legislatore IVA interno (art. 30, terzo comma, lett. c), del d.P.R. n. 633 del 1972, più volte richiamato), va attribuito il significato, esteso, di disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo (quale appunto è, di norma, non solo quello derivante dall’acquisizione della proprietà ovvero di un diritto reale, ma anche da un contratto di locazione/comodato), ferma in ogni caso la necessaria “strumentalità” dei beni stessi all’esercizio dell’impresa, che rappresenta, in ogni caso, il presupposto generale della detraibilità dell’IVA. In questa prospettiva, il concetto di “bene ammortizzabile” non può essere correttamente inteso nel contesto giuridico dell’IVA con riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette (artt. 102 e 103 del d.P.R. n. 917 del 1986) e nemmeno risultano ermeneuticamente dirimenti le disposizioni sul bilancio contenute nel codice civile ovvero i principi contabili. Piuttosto, secondo le Sezioni Unite, occorre fare riferimento alla nozione – ampia e sostanzialmente economica – di “beni di investimento”, utilizzata nella direttiva “rifusa” (artt. 174, comma 2, lett. a) e comma 3; 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, 189, lett. a); 190, direttiva 2006/112/CEE) e che quindi risulta essere l’unico parametro al quale un’interpretazione “conforme” deve affidarsi. Così, l’applicazione della disposizione legislativa de qua va necessariamente estesa ai beni che, pur stricto sensu non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali). D’altra parte, negare, in concreto, il diritto al rimborso IVA equivarrebbe a violare il principio generale di neutralità secondo l’interpretazione datane dalla Corte di giustizia, sotto il profilo della necessità di “depurare” dell’onere di tale imposta quello finanziario/fiscale della deduzione frazionata pluriennale dei costi, dunque, quoad effectum, in stretta analogia con la disciplina fiscale dei beni ammortizzabili. Alla luce del percorso motivazionale ora sommariamente descritto, le Sezioni Unite hanno superato il contrasto esistente, confermando l’orientamento secondo il quale l’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta. I magistrati addetti al settore civile sono invitati a dare notizia della massima sopra indicata con riguardo ai ricorsi in cui dovesse assumere rilevanza la questione in essa affrontata. (Red. Guido Romano)


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