
Perché migliaia di persone in Italia scelgono di votare Giorgia Meloni e in tanti Paesi analoghi movimenti di matrice, per dirla nei termini più generali, autoritaria, rinunciando così a molte delle proprie libertà, al riconoscimento dell’altro come uguale e alla visione dell’uomo come naturale detentore di diritti inviolabili? Proprio pochi giorni fa si sono svolte le elezioni in USA, che hanno visto trionfare Donald Trump, il quale incarna la massima espressione di una offerta politica identitaria che sollecita e santifica la “morale del gregge”. Sia chiaro, queste righe non servono a demonizzare le scelte politiche di chi vota certe formazioni, tutt’altro. Il fine è quello di comprendere le scelte elettorali di individui che non si muovono sullo sfondo di una vera democrazia intrisa di quel liberalismo appartenente alla fine dell’800 (fino alla Prima Guerra Mondiale), quanto piuttosto di una “democratura”, una dittatura della maggioranza, un regime politico autoritario che mantiene solo la forma apparente di una democrazia. Questo tipo di adesione politica entra in contrasto con quella che dovrebbe essere la modernità, segnata dall’autonomia della morale individuale, dal mercato libero, da una democrazia organizzata per contrappesi, attenta al prossimo e al diverso. Perché persone di norma animate da valori positivi ed estremamente condivisibili nella loro quotidianità scelgono di affidarsi ad una guida politica di estrema destra? La risposta può essere anche semplice: la modernità offre sfide impegnative, quali l’abbassamento del livello di vita, del livello di ricchezza, una costante instabilità del proprio posto di lavoro, indisponibilità di ampi servizi come la sanità o l’istruzione e questo porta la gran parte degli elettori di una nazione a ricercare scampo rifugiandosi nella “morale del gregge”, un insieme di norme e valori che promuovono la mediocrità, la conformità e l’uguaglianza “malata” rinunciando all’individualità, alla propria eccellenza e alla propria forza. Il punto può apparire troppo astratto e filosofico, ma tutto il dibattito filosofico della modernità, da Spinoza a Hume, da Mandeville e Freud si basa proprio su questo punto. L’abbandono della morale eteronoma, dettata da una religione o da un qualunque tipo di clan, in favore dell’abito mentale della morale dell’individuo è ciò che ha forgiato la modernità e consentito gli avanzamenti borghesi, democratici, economici e sociali di quello che chiamiamo “modello occidentale”. Secondo Nietzsche, questa “morale del gregge” nasce dalla debolezza e dalla paura, ed è portata avanti da coloro che temono l’individualità e preferiscono vivere la loro vita in modo passivo. All’alba della modernità attuale contributi come quello di Mandeville e la sua Favola delle api, che ha insegnato quanto anche il vizio possa essere utile alla società, e di teorici come Kant e Hume, concentrati sulla riscoperta dell’autonomia della morale, hanno contribuito a teorizzare il conflitto tra iniziativa e paura, che porta gli individui che vanno a votare oggi a ricadere nella morale del gregge. Nietzsche ha ben descritto questo conflitto attraverso la distinzione, nella Genealogia della morale, tra morale aristocratica e morale degli schiavi: la prima è un sistema di valori che deriva dalle classi dominanti e dai forti, ossia da coloro in grado di crearsi i propri valori, basandosi su un’autoaffermazione della forza e del dominio; la seconda deriva dalle classi subalterne, dai deboli e dagli oppressi che, non potendo esercitare direttamente la forza, ribaltano i valori aristocratici svalutando tutto ciò che è nobile e forte. Per loro il “male” è rappresentato da tutte le caratteristiche della morale dei signori e la sua più limpida rappresentazione si ritrova nella morale cristiana, che ancora oggi è fonte di problematizzazioni politiche e sociali. Nel ‘900 filosofia e psicanalisi si incontrano grazie alla figura di Freud, che esplora il concetto di morale attraverso l’interazione tra istinti primari e le restrizioni imposte dalla società. Freud ne L’avvenire di un’illusione definisce la religione una nevrosi ossessiva universale: l’individuo si ritrae dalla realtà dando luogo alla creazione di una intera comunità di individui asociali. La religione è un tentativo quindi di recuperare il narcisismo perduto e l’illusione della liberazione fornita dalla religione è mossa dal desiderio: in parole povere, gli individui guardano alla realtà dietro la lente del ricordo della debolezza della propria condizione di bambini nei confronti del padre onnipotente (è in questo senso che si parla di narcisismo perduto). Alla luce di questo Freud proponeva una liberazione dalla nevrosi intesa come lavoro interminabile che vede da una parte un allentamento della repressione del Superio (finora dettata dalla morale) e dall’altra un percorso di analisi, inizialmente con un analista, il quale metterà poi il paziente in condizione di continuare da solo. Ad unire questi due autori, significativamente appartenenti a una altra drammatica fase di contestazione della morale individuale borghese e di ritorno alla morale del gregge di tutti i totalitarismi di quel secolo, è dunque lo studio di una educazione alla realtà: liberarsi dalla fuga dell’ideale, quell’ideale che viene proposto dalla morale del gregge e dalla sua massima espressione, ossia la religione. Questo aspetto della ricerca di una libera sperimentazione del mondo, autenticamente liberale, a differenza della solita visione del Nietzsche nazista, prende in seguito nel pensiero di questo autore, una piega nichilistica; piega che ritorna oggi, a causa di una imposizione di elementi di insicurezza tra gli anni ‘70 del ‘900 e i primi anni 2000 da parte della politica, che ha portato ad un sempre più evidente afflusso collettivo verso la morale del gregge, la cui più grande appetibilità sta nel liberare gli individui dalla necessità di pensare. La controproposta a questa deriva non può dunque che essere quella liberale, portata avanti da questa rivista e da pochi altri, basata sulla cooperazione sociale tra individui autonomi e liberi da preconcetti religiosi o di clan, per ricomporre i dissidi e far procedere l’umanità su una strada di accoglienza, pacificazione e convivenza. Una controproposta incentrata proprio sulla discussione pubblica. È evidente che sia necessaria una forte sterzata verso un approccio al dibattito pubblico più sano, verso quel ruolo dello spazio pubblico presentato da Habermas: quello di una comunicazione libera da coercizioni e dominazioni. I partecipanti devono avere pari opportunità di esprimere le proprie opinioni e di influenzare le decisioni collettive attraverso il dialogo e la deliberazione. Questo è l’approccio propriamente filosofico che occorre riproporre nel dibattito pubblico per arginare il risorgere della morale del gregge; tornando però anche ad apprestare, nel concreto delle politiche, quelle reti di protezione individuale che incoraggino i singoli a riprendere l’avventura della ricerca della propria statura morale. (Fonte: Non mollare, quindicinale on line della Fondazione Critica liberale)